domenica 24 gennaio 2010

IL BLOGGER

Le presentazioni virtuali che in questi anni ho letto in rete sono in gran parte ridicole: assiomi falsi e immaginari, ipocrisie con la presunzione di un ritratto fedele. Io sono quel che scrivo, il resto potete immaginarlo se volete e se la mia scrittura sarà adeguata ma non vi dirò mai che la realtà è esattamente quella che voi credete.

mercoledì 20 gennaio 2010

JOAN -

Faccio la guardia a quelli che, infreddoliti, entrano in sala per fare in fretta colazione: escono dalla nebbia esterna per infilarsi dentro questa fatta di sigarette e cappuccini caldi.
Controllo la mensa, non esiste cosa più stupida al mondo, non esiste attualmente uomo più stupido di me. Il freddo ha cristallizzato per sbaglio questo mondo di brina e case di pianura, ne avevo un ricordo ancora vivo ma ero andato lontano, a sud, alle mie radici; questo gelo mi impone coscienze diverse, sogni diversi, vite diverse. Controllo da ufficiale la mensa di questa caserma prima che tra un quarto d’ora suoni l’adunata e si alzi la bandiera, il mio spirito vola bassissimo.
Non ci sono colori, non c’è un futuro visibile dentro questo inverno, nulla che rompa l’assedio dell’indifferenza di vivere. Io in fondo non sono nulla e mi confonderò tra poco nella nebbia uscendo sul selciato esterno.
– Un caffè tenente? – Annuisco, lui sorride lo prepara e me lo porge sul bancone. Prendo la tazzina e mi giro guardando la mattina che automaticamente si apre davanti a me.
Joan esce dagli altoparlanti come una magia, come un sogno insperato: io non capisco come ma è lei in una vecchia ballata di Bob Dylan, passa un tempo infinito che si scioglie nello sguardo complice del ragazzo del bar
– Lo sapevo che le sarebbe piaciuto tenente, l’ho capito da molte cose in questi giorni.
 Modena 20 Gennaio 1980

martedì 19 gennaio 2010

LA TUA STELLA

È ricomparsa la tua
stella
Dopo un'attesa di nuvole
nel cielo di dicembre
Come antica consuetudine
ammonizione e ricordo
Di una strategia contro
la guerra che ci
attende ai confini.

lunedì 18 gennaio 2010

PRESENTAZIONE -

Non è di alcuna utilità fingere una positività che non mi appartiene da tempo immemorabile o addirittura scriverne: non si deve mai scrivere prostituendosi alla necessità sociale del momento. Così mi rendo conto ogni giorno di più di quanto sia “naturale” e triste questa mia reiterata abitudine sintattica e concettuale, quanto sia limitante ma ineludibile il mio modo di scrivere…o riscrivere.
Le pagine sono moltissime e variamente addobbate ma lo scrittore è unico
Ancora vi dirò che non riesco più a leggere gli altri con la serenità necessaria, fondamentalmente ne provo spesso fastidio; in certi casi carezzo in segreto le pagine dei miei amici di sempre e non riesco a capire il senso dei loro contatti in rete; mi sembra contradditorio, forzato, una concessione alla umana necessità di piacere e di farsi blandire ogni tanto. In questa incomprensione si trova tutta la mia distanza incolmabile fra il desiderio palese di continuare in modo nuovo e decente e la obiettiva incapacità di farlo. A mio parere abbiamo già detto tutto, quelli come me possono al massimo ripetersi, passando dal ridicolo all’agiografico o dallo storico appassionato all’incisivo sintetico; in pratica abbiamo fregato le nuove leve della scrittura virtuale e l’unica cosa che possiamo fare è sparire per dar loro l’illusione che ci sia veramente aria nuova in giro.
Continuerò la mia strada pacatamente… oddio talvolta il deficiente di turno riesce a darmi una piacevole scossa di gossip virtuale, riesce persino a farmi incazzare come ai vecchi tempi. Ma dura poco, Mozart riprende tutto il suo spazio e io lo ascolto in silenzio scrivendo righe che nessuno di voi leggerà mai. In ogni caso il mio modo di essere nella sostanza non può cambiare, non a questa età e non con stimoli ordinari: ciò che scrivo riflette perfettamente e in toto me stesso. Altrimenti scompare che è poi il giusto destino del virtuale in senso lato: l’ho detto tempo fa, il virtuale non ci sopravviverà, il cartaceo in qualche caso sì, della memoria siamo gli unici custodi personali ed essa va dove solo noi possiamo coglierne il vero frutto.
Quello non potrà mai diventare un articolo. Vi voglio bene almeno quanto non vi sopporti: la storia della mia vita è tutta lì. Non esiste via di mezzo, per rimanere vivo devo uscire dal guscio, aprirmi e aprire. Espormi e dovermi spesso ricredere sull’effettiva possibilità di comunicare. Il desiderio di vedere e conoscere le mille vite pulsanti dietro ogni nome si porta appresso anche l’accidia di restare deluso: è un rapporto di amore – odio.

venerdì 15 gennaio 2010

UN FILO SOTTILISSIMO -

Parlerò d’amore e quasi tutte le parole resteranno chiuse in gola e scuoterò la testa invocando l’unica che potrebbe dare loro la libertà di volare chiare nel cielo. E’ solo una questione di fede, come sempre: una scelta d’abbandono predestinato e fuor di logica. Dovrei credere che il filo sottilissimo possa ricomporsi. Che la frattura guarisca, senza segni, senza enfasi alcuna. Carezzo il velluto della poltrona con una lentezza golosa: ti rivedo al pianoforte e ti risento, suoni per me come allora ma dovrei credere che il filo sottilissimo si sia ricomposto. Carezzo il dorso dello schienale e in questa stanza non c’è nessun altro al di fuori di me e del mio ricordo vivo.

lunedì 11 gennaio 2010

TUTTI MORIMMO A STENTO -


L’11 gennaio di undici anni fa se ne andava il più grande di tutti. Un artista la cui versalità poetica prima e musicale poi non ha eguali in Italia e forse nel mondo: Fabrizio fu il prodotto di una generazione e di una cultura accesa ma riflessiva sul mondo che scorreva davanti, ma da lì in poi ci fu solo arte e genio allo stato puro. Non voglio trovare aggettivi e le mie lodi, confuse in mezzo a quelle interminabili di chi lo ama ( e sono una quantità) servono solo a coprire il rammarico per la sua assenza fisica tra noi. Mi sono tornati alla mente gli ellepi e il banco di regia dell’emittente radio da cui trasmettevo: ricordo perfettamente l’eccitazione del nuovo, il primo ascolto del volume 8° di Fabrizio de Andrè. Ci si guardava in faccia e si diceva “Perfetto! Che meraviglia.” Poi si continuava a parlarne per giorni e si capiva, si sentiva che quella era la musica, erano le parole della nostra generazione, che non poteva esserci modo più completo e diretto per raccontare i nostri giorni, il senso del reale e il metafisico, il buffo e l’amaro…l’amore fissato ed eterno in una dimensione che adesso, ancora adesso, stasera mi sembra consolante ed unica.

sabato 2 gennaio 2010

RECINTI -

La tendenza a leggere solo una certa fetta di libri (o di blog) e ritenere il resto merda secca da evitare è troppo forte per il genere umano; recinti che ci proteggono, questo è quello di cui sentiamo il bisogno, non è quello che ci salverà da nuove dittature mentali.