lunedì 17 giugno 2019

CANTI BAROCCHI

La grande villa era già sparita da più di ventanni. Le bombe made in USA avevano artigliato anche la zona residenziale di viale della Libertà ma gli inquilini se ne erano andati da molto tempo. La contessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangieri di Cutò non avrebbe potuto vivere con la dignità che le competeva in quella Palermo del primo novecento dopo essere stata abbandonata dal marito Giuseppe per una giovane e procace ballerina; lui era fuggito a Sanremo ma la contessa era rimasta a illanguidire tra i ricordi e le angustie di una società in cui lo sfacelo iniziato con l'unità d'Italia e la fine dei Borboni rendeva sempre più lontana la luce che era stata dei Gattopardi di un tempo. Aveva più volte confidato alla sorella Beatrice che per lei gli spazi vitali diventavano sempre più angusti e che non intendeva crescere i tre figli in quella condizione. Beatrice le ricordava che per gente come loro ( era la madre dello scrittore Tomasi principe di Lampedusa) la città, per quanto degradata, restava pur sempre l'unico luogo in cui abitare...a meno che non ci fosse l'alternativa anche economica di migrare in altri luoghi dell'Europa che contava. I tre figli erano una cerchia protettiva, un patrimonio, l'unico, che esulava da tutto il resto. Lucio era il minore, timido e introverso coltivava già da allora molti interessi letterari e musicali: le sue pagelle al liceo Garibaldi parlavano chiaro, i voti altissimi ( molto rari a quei tempi) in greco e latino erano testimonianza di un intelletto avido di conoscenza e lucido nella sua capacità espressiva. Ma era il carattere a limitarne gli effetti e forse anche una certa sudditanza psicologica verso la madre, sudditanza terminata solo con la morte di lei. L'ambiente sociale della nobiltà palermitana di quegli anni era ridotto come numero ma elevato nei suoi interessi, Il circolo Bellini possedeva un tenore culturale di grande spessore e l'adolescente Lucio vi era già conosciuto come "il musicista filosofo". Il circolo aveva tra i suoi frequentatori anche Tomasi che spesso si divertiva a prendere in giro il cugino che certamente era un pedantissimo e ricercatissimo compositore e il Tomasi amava schernirlo con la frase " mio cugino compone una biscroma al giorno". In Sicilia l'elitarismo si pasce dell'apparente mediocrità umana circostante, ma è un'illusione fascinosa, la letteratura dei siciliani è sempre stata europea perchè "europee" e vaste sono sempre state le loro biblioteche.
Ma niente potrà mai spiegare la cifra esistenziale della famiglia Piccolo che agli inizi degli anni 30 decise di "sparire" dal mondo cittadino e esiliarsi nella villa di campagna di Capo D'Orlando. Lucio a quell'epoca aveva 31 anni. Se esiste uno stereotipo sulla Sicilia quello gattopardesco è senza dubbio il più "nobile" e ricercato, è anche il più sciocco e inadeguato; la sicilia colta e profonda è sempre vissuta lontano dai salotti e dalle ricercatezze formali. Tomasi, cugino di Lucio, ebbe una gran fama postuma per il romanzo che incastonava in un diadema perfetto la vita e l'amore, la storia e la politica, il fisico e il metafisico, una gloria inutile per l'autore e giunta in ritardo. Molte delle pagine del Gattopardo, furono riviste e completate a Villa Piccolo, si vociferò a lungo di alcuni asprezze tra i due cugini nate da contese letterarie . Il romanzo di Lampedusa nasceva al sole infuocato e assorto di un meridione antico, la poetica di Lucio Piccolo invece viveva nella penombra di una sera incipiente o di un'alba sospesa. Lucio è ancora un poeta clandestino, le sue opere viaggiano tra le mani di pochi, la sua scrittura è lontana anni luce dalle frodi editoriali e commerciali. Che importa? Gli anni dell'adolescenza e della gioventù a immergersi nel grande fiume della cultura e letteratura europea, un istinto precoce e onnivoro verso l'espressione letteraria. Poi il silenzio...la natura come unica interlocutrice e il grande abbraccio della solitudine.
Ancora una volta mi rendo conto di quanto io sia inappropriato a svolgere recensioni letterarie in senso stretto, quanto sia incapace a sovrapporre la mia voce a quella di un altro: «I giorni della luce fragile, i giorni / che restarono presi ad uno scrollo / fresco di rami… / oh non li ri­chiamare, non li muovere, / anche il soffio più timido è violenza / che li frastorna… ». 
“La casa era quieta, il resto del mondo lontanissimo. Fu così che mi resi conto come per villa Piccolo passasse un meridiano come a Greenwich il meridiano della solitudine “. Ebbe a scrivere qualcuno sul mondo della villa.
" Se noi siamo figure di specchio che un soffio conduce senza spessore né suono pure il mondo dintorno non è fermo ma scorrente parete dipinta, ingannevole gioco, equivoco d’ombre e barbagli, di forme che chiamano e negano un senso – simile all’interno schermo, al turbinio che ci prende se gli occhi chiudiamo, perenne vorticare in frantumi veloci, riflessi, barlumi di vita o di sogno – e noi trascorriamo inerti spoglie d’attimo in attimo, di flutto in flutto senza che ci fermi il giorno che sale o la luce che squadra le cose". Da Gioco a nascondere 
Infine andare a Villa Piccolo, da soli e senza altri interlocutori che non la propria coscienza e sensibilità, andarvi e rileggere
«Così prendi il cammino del monte: quando non / sia giornata che tiri tramontana ai naviganti, / ma dall’opposta banda dove i monti s’oscurano in gola / e sono venendo il tempo le pasque di granato e d’argento…». Da Plumelia. 
Poichè il Sud sta stretto dentro i normali abiti letterari e la cifra interpretativa può nascere solo dalla comprensione intima della sua terra.

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