La scrittura resta, i mei sogni restano, la mia vita non muta per i desideri superficiali di altri, Enzo è vivo nel suo intelletto e nelle cose che scrive. Che sia letto, accettato, conta meno. Lasciare una traccia di me era importante.
L’unicità è un grande pregio, non deve diventare arroganza ( il rischio è alto); chi scrive qui è un campione di imperfezioni vi assicuro e ci convivo.
Gli anni ufficialmente perduti tornano in segreto per la malinconia di averli vissuti
mercoledì 30 aprile 2025
martedì 29 aprile 2025
L'amore
Parlerò d’amore e quasi tutte le parole resteranno chiuse in gola e scuoterò la testa invocando l’unica che potrebbe dare loro la libertà di volare chiare nel cielo. E’ solo una questione di fede, come sempre: una scelta d’abbandono predestinato e fuor di logica. Dovrei credere che il filo sottilissimo possa ricomporsi. Che la frattura guarisca, senza segni, senza enfasi alcuna. Carezzo il velluto della poltrona con una lentezza golosa: ti rivedo al pianoforte e ti risento, suoni per me come allora ma dovrei credere che il filo sottilissimo si sia ricomposto. Carezzo il dorso dello schienale e in questa stanza non c’è nessun altro al di fuori di me e del mio ricordo vivo. Lo sappiamo tutti che il momento migliore è l’inizio, i primi tempi… tutto ciò che viene dopo sono accomodamenti ma l’amore, l’amore è già altrove. Ho visto storie d’amore compiersi interamente dentro uno sguardo, una carezza, un dono, una frase, un rifiuto; e non è mai stato accettabile dal mondo tutto ciò, anzi quando diventiamo interlocutori di un amore la gelosia ci fa essere dei Torquemada dei sentimenti. Giustizieri implacabili e sanguinari. Ma io mi ritengo fortunato, per me un gesto d’amore è comunque un patrimonio incalcolabile, qualsiasi percorso abbia seguito per arrivare fino a me. Per secoli l’uomo ha parlato d’amore e scritto d’amore e imprecato contro l’amore e i suoi poeti. Ma l’amore anche quello immaginato sussurrato fotografato descritto e bloggato è un sentiero difficile e pericoloso da percorrere. Perchè l’amore, fuori da noi, è sempre discutibile e osceno nasce come una magia intatta e subito dopo, a contatto col mondo, si ossida in una maschera volgare. Piove, meravigliosamente piove, l’acqua detta un ritmo diverso al mio tempo, lascia dentro di me pozze piene di riflessi tremolanti: vi sbircio dentro e l’uomo che sono ritorna bambino con contorni imprecisi e molti sogni ancora da afferrare. Prima del grande secco dell’anima. Riapro lo stesso foglio oggi come se fosse il richiamo di una stagione che torna, di una speranza che cresce. Di un sogno che non muore.
lunedì 28 aprile 2025
PARLARE DEL SUD -
Parlare del Sud è facilissimo: il Meridione d’Italia è pieno di luoghi comuni cui appoggiarsi senza grossi problemi. Tutti media ufficiali, il cinema e il teatro sono talmente coperti da questo genere di comunicazione da sembrare che tutto sia reale e veritiero. Solo la letteratura ha mostrato qualche crepa, qualche dubbio e la storiografia comune dal canto suo suona da sempre in un unico modo. Parlare del Sud è difficilissimo: troppi controsensi, troppi equivoci e troppe bugie organizzatesi nel tempo come unica traccia da seguire. Dentro la corrente cui è stata assegnata la patente di serietà documentata e storica diventa complicata inserirne un’altra, io desidero soltanto dare un contributo, piccolo ma sincero, alla ricerca di una verità storica che i testi avuti fra le mani negli anni della scuola e quelli, più nobili e altisonanti, che compongono la storiografia ufficiale del Risorgimento italiano, non hanno mai raccontato in modo serio. I fatti storici e soprattutto gli antefatti, i protagonisti, le mille storie segrete formicolanti sotto le evidenze vissute come assiomi senza mai un attimo di riflessione… o almeno di buon senso, tutto questo grande insieme di cose adesso, trascorso il primo centenario dell’unità, appare fatiscente. Riprenderlo in mano, analizzarlo studiarlo con animo obiettivo, senza ideologie pelose a guidare la mente è fondamentale.
A molti potrebbe sembrare un’operazione dissacratoria, un atteggiamento revisionistico da quattro soldi, legato evidentemente ad una sorta di anacronistico campanilismo meridionalista. Non è così. Un’analisi più seria sulle vicende che hanno portato dal 1860 in poi all’unificazione della penisola italiana vede sicuramente in primo piano e ai primi posti la Sicilia e siciliani; il processo unitario italiano ha avuto sia dal punto di vista morale che geografico che umano il contributo determinante della Sicilia. L’analisi quindi non è tanto dissacratoria ma necessaria: non è un vezzo ma un dovere. Chiedersi come, perché e quanto è fondamentale per potersi finalmente guardare in faccia tutti senza ipocrisie. Le vignette che da tempo disegnano uno stivale che prende a calci la sua appendice meridionale non sono il prodotto di un ubriaco di poco conto: riflettono purtroppo la realtà dei fatti. Certo la geografia e alcune difficoltà obiettive non possono essere facilmente modificate ma la storia degli uomini ha il diritto-dovere di essere declinata in modo diverso. Dico qui una cosa che avrei dovuto scrivere in coda a questo testo: la Sicilia e siciliani sono creditori di questa nazione (o pseudo tale), l’isola ha risorse e potenzialità grandi ma inespresse.
Dal 1860 in poi si è pervicacemente voluto, anche col contributo di siciliani non meritevoli di essere chiamati tali, che rimanessero inespresse per favorire in un modo o nell’altro lo sviluppo dell’economia settentrionale. Sviluppo del turismo, valorizzazione dei beni culturali (un patrimonio immenso che tutto il mondo ci invidia), trasformazione dell’agricoltura e della pesca, sfruttamento delle risorse del sottosuolo sono tutti punti di partenza di una ricchezza potenziale che potrebbe sicuramente consentire lo sviluppo autonomo della Sicilia. Ma in realtà se c’è un popolo legato al concetto di unità nazionale sono proprio i siciliani: l’idea del federalismo estremo, praticabile oltre lo stretto ben più chiaramente e facilmente di quello padano, non ha mai attecchito in Sicilia. Eppure solo su una crescita economica e sociale e sulla presa di coscienza delle proprie forze e delle proprie risorse si può costruire una Sicilia diversa e si può finalmente pensare di accorciare il divario profondo tra Nord e sud. Solo la coscienza delle proprie luminose radici, della propria forza e del proprio valore possono vincere l’atavico sospetto della latitanza cronica dello Stato verso la soluzione dei problemi isolani. Io credo che solo i siciliani siano in grado di liberarsi dall’abbraccio mortale della mafia, Falcone e borsellino lo hanno dimostrato ampiamente, solo la Sicilia può scrollarsi di dosso questo marchio di infamia che ci opprime ogni giorno di più. Nel settembre del 1982, in via Carini a Palermo, furono uccisi brutalmente Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie; dopo l’omicidio su un muro un siciliano anonimo scrisse “qui è morta la speranza dei siciliani onesti”. Tremendamente vero, vergognosamente vero ma finché ci sarà l’altra faccia della Sicilia pronta a contrastare la prevaricazione la violenza mafiosa, la Sicilia che prende il testimone degli uomini coraggiosi che hanno dato la vita per la dignità di questa isola, la speranza non morirà. Non ci sono alternative per la costruzione di un futuro decente ogni popolo deve avere coscienza delle proprie radici storiche e della propria cultura. Dovremmo quindi parlare o riparlare di storia e io vorrei cominciare con una frase di Jean Cocteau “Che cos’è la storia dopotutto? La storia è fatta da avvenimenti che finiscono per divenire leggende e le leggende, bugie e falsità, che finiscono per diventare storia”. Non riesco a trovare niente di più calzante con l’unità d’Italia e gli avvenimenti che ne sono seguiti, niente di più adeguato ai fatti celebrati dalla storiografia ufficiale a partire dalla spedizione dei 1000 e che portarono poi a questa Italia che abbiamo davanti.
E vorrei chiedervi seriamente c’è tra di voi un cretino che veramente crede che 1089 uomini sbarcati a Marsala abbiano potuto aver ragione di un esercito di 20.000 uomini perfettamente equipaggiati? Nasce tutto da qui, inizia tutto da questa menzogna così grande, così ridicola eppure così radicata nei libri della nostra scuola. Non sembra possibile ma nell’anno di grazia 2016 discutiamo ancora, perché vi siamo dentro, di una mai risolta “questione meridionale”. Riparliamone dunque proprio in occasione dei primi 100 sessant’anni da quel maggio 1860: facciamolo con obiettività storica e serenità di giudizio, rivediamo gli avvenimenti che tra luci e ombre portarono a un processo unitario fondato per i siciliani soprattutto sulle illusioni create da Garibaldi e sulle mancate promesse del re piemontese seguite poi dalla sanguinosa repressione dello stato sabaudo negli anni fra il 1865 e il 1870. Riconoscere infine che il processo unitario fu forzato e segnato da profonde ombre significa rendere finalmente un buon servizio a una realtà storica bistrattata e rendere giustizia alle popolazioni meridionali e alla Sicilia che all’unità hanno sempre dato un contributo importante. Vogliamo parlare della biblica emigrazione verso i paesi dell’America settentrionale e meridionale? Vogliamo chiederci perché iniziò dopo le annessioni al Piemonte e non prima? Vogliamo pensare a quanto peso hanno avuto il lavoro e le rimesse di denaro fatte dagli emigranti? Possiamo ricordare il contributo di sangue meridionale durante la grande guerra? E per chi lo ha vissuto di persona non credo sia giusto dimenticare i meridionali degli anni 50 con le valigie legate dallo spago scendere nelle stazioni di Milano e Torino e produrre ricchezza per il Nord e per le sue industrie… Pensando di farlo per l’Italia intera. Ma l’Italia si era già fermata da tempo molto prima di Eboli. È a persone come queste che ci si deve rivolgere per restituire il maltolto e la dignità, ai siciliani e ai meridionali che l’Italia l’hanno fatta davvero col sudore della fronte e con uno sforzo intellettuale che non si può negare. E a questi italiani che bisogna raccontare la storia vera di una nazione nata per interessi di altre nazioni, fondata su menzogne risibili e che anno dopo anno continua a partorire sciocchezze di valore assoluto. Siamo ancora in tempo per sfatare quella storia propagandistica per raccontare il vero aspetto dei protagonisti di quel tempo, a partire da Giuseppe Garibaldi, proseguendo con Cavour e re Vittorio Emanuele II, dicendo senza fronzoli che tipo di criminale abbia gestito la questione “brigantaggio” e cioè il Generale Cialdini? Non sono più sicuro di molte cose perchè certe bugie si sono incancrenite, organizzate in assiomi difficilmente scardinabili. Non voglio cambiare la storia, voglio leggerla con animo sincero.
IL CASO
Solo il caso può averti portato qui, un click in più o una svista. Il caso oppure una piccola traccia lasciata da me nel web: era voluta? Non ha nessuna importanza. Quello che leggi qui sono solo schegge, idee immediate che anelavano spazi di scrittura più ampi. Mi è mancato il coraggio di eliminare tutto, quando stavo per eliminare tutto mi ha preso una vertigine. Sono rimasti.
sabato 26 aprile 2025
Gli ebrei che alla fine degli anni 40, dopo la seconda guerra mondiale, partorirono la brillante e romantica idea di ricreare il proprio stato in quella Palestina abbandonata 2mila anni prima fecero un grande errore di valutazione storico sociale. Le conseguenze sono adesso evidenti. Creare uno stato europeo a tutti gli effetti in una zona tutta islamica, una specie di avamposto occidentale completamente circondato dal’Islam, esportare cultura e modi di vivere odierni in pieno medioevo era scontato che avrebbe provocato un conflitto infinito.
venerdì 25 aprile 2025
25 APRILE, LA GUERRA CIVILE NASCOSTA -
Esistono molte storie, in genere scegliamo quella che ci fa più comodo in quel momento ma esiste anche l’eventualità, fondata sul motto latino “vae vinctis”, che si scelga la storia parziale di chi la partita di quel particolare periodo l’ha vinta. Non c’è cosa più fisiologica per i finti storici che plasmare a proprio uso e consumo alcune storie, sfrondarle da certi particolari e rimetterle in circolazione come dimostrazione inoppugnabile della etica superiore da cui hanno tratto origine. Se in aggiunta a questo gli eventi possiedono quel tanto di drammaticità e crudeltà da farli apparire ripugnanti il gioco è fatto. Gli anni tra il 43 e il 46 sono stati la base ideologica su cui costruire la Repubblica, questa Repubblica: la storia che la sottende è quella dei vincitori e non può che annullare tutte le altre ragioni anche quelle più serie; è la stessa logica su cui si costruì l’unità d’Italia nel 1860, stessi personaggi, stessa politica, identica arroganza mentale, uguale cecità ideologica. Entrambe lezioni di storia inaffidabili.
Può una giornata di festa importante essere sbiadita? Sì è possibile. Leggo i giornali, guardo la Tv e penso. Penso molto ma in modo confuso e incongruo, praticamente inutile. Penso ad altro per non pensare ai casi miei in modo ossessivo, non mi serve e non mi aiuta. Ma la giornata è quella che porta un nome luminoso: liberazione.
Sono nato sette anni dopo Piazzale Loreto e abitavo a Milano, per me bambino c’erano solo i partigiani e la resistenza, c’era solo questa fetta di pianura con le sue città. Il mio mondo finiva al Mugello. Da ragazzo c’erano sempre i partigiani (un po’ imbiancati) ma si era aggiunta la lotta di classe e i movimenti studenteschi. Mi raccontarono in modo credibile che le due battaglie fossero figlie della stessa madre e che entrambe conducessero idealmente ad una società più giusta, più libera e più felice. Ogni anno e ad ogni commemorazione ci si allontanava sempre più da un periodo nero (in tutti i sensi) ma non capivo perché tale sensazione di felicità sociale non fosse permessa ad alcuni che pure non erano vestiti di nero; capivo soltanto che la commemorazione era appannaggio esclusivo di una parte e che tutte le altre le fossero debitrici di qualcosa. Alcune non dovevano mettere nemmeno il naso fuori in quei giorni. Non riuscivo a comprendere una ghettizzazione così netta, non avevo la percezione di fantasmi così forti attorno a me: tutto ciò che era stato era finito con una scarica di mitra davanti al cancello di una villa nel comasco.
Allora, mi chiedevo ai miei tredici anni, perché questa ostilità, questa sottile paura come se non fosse veramente finito tutto e i mostri del passato potessero tornare a passeggiare tra le vie del centro? Ricordo quando scoprii con sorpresa che c’erano ancora i fascisti, o almeno i presunti tali. Non erano solo quelli che stazionavano in piazza S. Babila e nemmeno solo quelli che vegetavano nell’unico partito fuori dall’arco costituzionale. C’erano fascisti nascosti ovunque, persino dai vicini di casa, persino tra i miei insegnanti di liceo.
Li guardavo con incredulità, non avevano a mio parere nessuna caratteristica che potesse assimilarli a un gerarca o un repubblichino, non vedevo nessun squadrista eppure i compagni del Fgci me li additavano con fiero cipiglio ad ogni assemblea studentesca. Non cerano dubbi e soprattutto questi non erano rivelabili! La resistenza era stata e adesso doveva essere dovunque dalle mie parti, come si faceva a ipotizzare che potesse essere diversamente altrove? Le vicende degli anni tra l’inverno del 1944 e la primavera del 1945 era piene di fatti tremendi e sanguinosi, di drappelli nazi che entravano, prendevano e fucilavano tutti, donne vecchi e bambini compresi. Ogni storia aveva il suo giovane eroe o eroina che scriveva l’ultima lettera ad amici e genitori prima di essere trucidati l’indomani mattina all’alba da mano fascista. Il gelo e lo schifo mi entravano nelle vene, il sangue montava alla testa. Una situazione perfetta in cui scegliere il bene dal male, l’iniquo dal giusto in assoluto, il male stava solo da una parte, ogni gesto ogni racconto lo mostrava senza ombra di dubbio. Non c’era altra storia non esisteva un’altra Italia e nessuno dei miei coetanei si domandò mai come fosse possibile essere arrivati a piazzale Loreto dopo ventanni di regime, come fosse possibile credere a una Nazione triste, oppressa senza storia ne onore: quaranta milioni di antifascisti liberatisi in sei mesi da una dittatura non condivisa! Io ero pronto a prender su il fucile per combattere contro i porci che occupavano l’Italia. Ero prontissimo.
Avevo diciassette anni Il 23 aprile del 1969 scoprii l’altra faccia della medaglia, capii quel giorno chi portava veramente i regali a Natale, lo capii male e mi feci male. I compagni erano i fascisti (niente scandali per favore) avevano in mano il potere di condizionarti con un’intimidazione continua, il metodo del pensiero unico fascista, dell’unica idea disponibile dell’unica storia credibile era il loro perchè con i compagni non discuti, appoggi, non poni alternative, non sei degno di vivere fuori dalle loro posizioni. Le opinioni diverse sono revisionismo e la storia serve solo ai fini della vittoria finale. - - - Enzo ci hai rotto i coglioni con queste domande! Enzo che cazzo te ne frega di Reggio Emilia! l’8 settembre a fianco degli alleati e non dire cazzate. I morti solo da una parte, dall’altra maiali schifosi – Me lo ricordo bene il signor Pasini e i suoi amici - Sentite io voglio solo capire, non c’ero ed ho solo i racconti e i libri di storia per capire - Ragazzo c’è poco da capire! Abbiamo combattuto per liberare l’Italia dai fascisti, siamo morti e fucilati donne e uomini. Alla fine li abbiamo appesi e abbiamo vinto. SE NECESSARIO LO RIFAREMMO DI NUOVO. Vai a chiarirti le idee davanti ad un monumento ai caduti e se parli ancora di guerra civile sono cazzi tuoi, capito stronzetto?-
Fu un incubo terribile, si erano cambiati, trasfigurati, avevano gli occhi iniettati di sangue, e mi avrebbero pestato, cazzo se mi avrebbero pestato. Spingevo sui pedali della bici come un disperato. Io sono sempre stato un alieno ovunque, mi insospettisco se vedo troppa gente sullo stesso carro. In genere giro da solo. Adesso sono passati degli anni, molti anni e so per certo che le cose non stanno nè come dice la Celebrazione nè come dicono i Camerati. La verità NON STA NEMMENO IN MEZZO perché semplicemente non c’è o non è unica, forse tra un secolo potremo guardare quella Italia in modo meno polemico, con meno assiomi scontati nella testa. Finora l’aria malsana di una guerra civile schifosa e crudele continua a agitare le fronde degli alberi della nostra vita. Non commentatemi chiedendomi dove sta la verità, non scrivetemi inchiodandomi come quarantanni fa alla croce del “fascista”!!! Che ne so io della assoluta verità? Io leggo la storia, anche quella dei vinti. Leggo le cronache partigiane ma anche Petacco, leggo le memorie di Pajetta ma anche quelle degli antifascisti bianchi. Ho letto le valutazioni di Giorgio Bocca ma, udite udite, ho letto Giampaolo Pansa. E lì nero su bianco, il sangue, gli stupri e le violenze hanno anche un’altra etichetta. L’assoluta verità? Quella fondante una nuova Nazione? Voi che avete molte risposte lo sapete, che avete quei bei blog pieni di ideali sicuri e che i buoni di qua i cattivi di là. Ho visto blog col segno sul muro come ai tempi del Fuhrer: questo è un blog comunista, questo è di destra. Con quelli non ci parlo, con gli altri non c’è dialogo. Io sono laico, io no, io sono nel giusto voi invece siete stronzi. Da alieno oggi che sono solo e non ho una misura mutuata dal branco che potrebbe proteggermi, oggi che i venti anni e i compagni del movimento sono trapassati, oggi che sembra tutto un altro pianeta, dico che
– L’Italia fu sconfitta nel 1945. Lo dimostrano le condizioni imposte dai vincitori, i debiti di guerra, la perdita di terre italiane.
– Non potrà mai unire la celebrazione di una sconfitta che ha visto alcuni italiani combattere contro altri italiani, ambedue al seguito di eserciti stranieri.
– Gli italiani di concreto fecero ben poco. Senza le Forze Anglo Americane non vi sarebbe stata alcuna “resistenza” (che infatti cominciò solo all’indomani dell’8 settembre) e il “contributo” militare alla vittoria Alleata fu totalmente privo di consistenza. Gli ideali sono una cosa la realtà un’altra. Siamo sempre stati dei furboni che tentano di ingigantire i propri meriti.
Si vive e si muore e c’è sempre una parte “sbagliata” e la guerra civile c’è stata signor Pasini. Il 25 aprile non unifica purtroppo, ho la nausea, non venitemi a dire che l’argomento resistenza non sia intoccabile: ancora scotta e fa male. Guardiamoci in faccia e così potete fare click dove sapete e chiudere il contatto: alla favola manichea delle due italie, una tutta buona e l’altra tutta schifosa e cattiva non ci credo, non esiste periodo storico con divisioni cosi nette, non in Italia che di divisioni è storicamente l’antesignana. La nostra democrazia ha visto un’alba insanguinata da una guerra civile che ha lasciato in terra migliaia di morti anche a nei dodici mesi seguenti il 25 aprile: informatevi prego ma se lo fate su Repubblica o nei circoli di rifondazione comunista è meglio che lasciate perdere. Stesso discorso se andate su siti di Forza Nuova o similari. Dovete ragionare con la vostra testa e con onestà intellettuale, poi potete continuare a pensarla come prima e mandarmi affanculo ma io sono certo di avervi reso un buon servizio. E’ vero c’è il revisionismo e a qualcuno può far comodo (vedi shoah ma lì i fatti son troppo grossi e più che revisionismo è solo stronzismo di scarsa qualità), ma c’è anche il negazionismo che oggi ancora in Italia impedisce di sfatare i tabù di una storiografia che fa semplicemente ridere. Beh io mi sono stancato di ridere e voglio vederci chiaro: io non nego la resistenza, dico che non fu quella a sconfiggere le armate tedesche. Io non nego i valori di libertà espressi da alcuni protagonisti della resistenza partigiana, non nego il sangue che essi hanno versato per la loro causa; io dico che fra i partigiani circolarono per lungo tempo fior di criminali. Io sono certo che tra i cosiddetti fascisti cerano anche fior di galantuomini. L’intolleranza li travolse tutti. Io voglio sapere perché è stata fucilata e appesa a testa in giù Claretta Petacci (la Macelleria messicana descritta da Ferruccio Parri) perché è stata fucilata e uccisa Luisa Ferida incinta, perché sono stati massacrati i partigiani del fratello di Pasolini….ma voi avete idea di quanti miliardi di righe dovrei utilizzare per scrivere i nomi degli assassinati fra il 25 aprile 45 e la fine del 46? I partigiani della brigata Garibaldi hanno compiuto omicidi, lo stesso dicasi per i Gap. Le brigate nere e molti repubblichini hanno compiuto lo stesso tipo di delitti, ma dopo? Dopo qualcuno mi spiega o mi vuole giustificare senza sbandierare panni rossi la carneficina in tutto il territorio del nord? Subito dopo il 25 aprile e anche un po’ prima, le esecuzioni dei partigiani che non volevano sottostare alla supremazia del Pci divennero sempre più frequenti: era la strategia del delitto per preparare l’insurrezione rossa che sembrava lì pronta da cogliere. E in quel tempo quasi tutti i compagni erano convinti che ormai la pera era cotta e bisognava andar per le spicce. Le spicce si chiamavano gli squadroni della morte che fecero tabula rasa di possidenti e artigiani, contadini ed ex podestà, di maestre e professori, ragazzi e ragazze figli e figlie di fascisti veri o presunti. Omicidi e stupri, un merdaio altro che balle: omicidi spacciati per lotta di classe e anche un mare di vendette personali, omicidi per quattro soldi o per eliminare testimoni scomodi, col grande partito comunista che stava a guardare o mettere pezze. Il 25 aprile è rimasto retorica, bugie ed omissioni che riguardano solo una fetta di questo paese, non può essere festa nazionale. E comunque nazione non c’è n’è mai stata e tutta questa tirata non serve a niente, tanto per cambiare. Fine delle trasmissioni che ho la nausea.
mercoledì 23 aprile 2025
SERENITA' -
Conosco solo due strade per sorvolare il mondo ed evitare la rassegnazione di esistere: la musica e la poesia, non c’è altro credetemi. Per ogni parola detta in versi c’è un universo in anticipo sui nostri sogni più vasti. Io so perfettamente che non mi si può commentare, o che è molto difficile farlo, conosco quel tipo di imbarazzo, è simile al primo amore che trasfigura l’esistenza di ogni essere umano: per molti anni ho convissuto con il suo sapore in bocca. Ma adesso non c’è più tempo c’è solo una fretta decisa prima dell’ultimo salto. Quindi scriverò ancora e saranno versi, quelli miei, raccolti da un tempo distante o da stagioni più mature. Non l’ho deciso oggi ma un giorno di maggio del 1980 quando presi una penna e ebbi la sfacciata colpa di scrivere così:
Uscito
sulla sera ad incontrare il senso
del
mio giorno di vita
ho
trovato solo contraddizioni
e
un grande amore
ogni
volta una dura prova per la mia
modestia.
Forse
un giorno riuscirò a stringere
la
mano
di
quella viaggiatrice fugace
e
solitaria
che
sfiora tutte le sere casa mia:
serenità.
martedì 22 aprile 2025
Io quando scrivo sono fuori da tutto, non scrivo per nessuno in particolare apro il cuore e l’intelletto e mi lascio andare. Scrivere è la mia libertà non la baratterò con niente altro al mondo vorrei fosse anche quella di chi mi legge nell’attimo perenne dello sguardo che passa sulle parole. Ero così già a dieci anni, solo mia madre lo aveva capito, a lei riusciva facile seguire il filo che si dipanava dai miei occhi di bambino alla grande libreria di casa. Ho avuto questa sensazione con te, per questo ti scrivo, per questo provo un gran piacere pensando che tu mi leggi.
domenica 20 aprile 2025
ANCIENT TIME -
Non può crederci nessuno, lo so bene. Eppure l'eco lontanissima di quegli anni è ancora qui. Dentro le pieghe della mia vita mentale, dentro l'utopia crudele di averci creduto e di crederci tuttora. Tu ci sei da quando ho compreso e vissuto anche girandosi ogni tanto indietro… via. C’è spazio? C’è spazio forse se vai via. Altrove con ottiche diverse e volontà nuove. Finiremo per percorrere sentieri antichissimi, obsoleti, fuori da questo virtuale dentro un altro reale che se ne frega delle nostre artificiosità sciocche. Sciocche, sciocche, sciocche. Via. Lontanissimo così da credere che sia stato un altro e di essere seduto in una sala cinematografica davanti ad uno schermo: il film è UN AMORE DIFFICILE.
Desiderio di seno, di pelle, di labbra: cerco di penetrarti con le parole e ti bevo con la mente. Sono trascorsi pochi istanti ma non posso più tornare indietro, è una tensione inarrestabile verso un orgasmo liberatorio; te ne sei accorta e ti sei riconosciuta, mi agganci con i tuoi occhi verdi, quasi febbricitanti, e non mi lasci più. Forse pensavi che tutto questo non fosse possibile, pensavo anch’io la stessa cosa prima di conoscerti. Ascoltami, ora, in un attimo, sta morendo il vecchio ragazzo che sapeva molte cose. Al suo posto sta nascendo un uomo nuovo, ignorante di tutto, ma curioso d’ogni cosa. Parlami, signorina, avvelenami un po’ alla volta: sta scomparendo tutto, gli oggetti e le persone intorno a noi. Saremo soli io e te fra poco, assolutamente soli. Quel che non sapevo è che la solitudine di noi mi avrebbe accompagnato per sempre. Non avevo la certezza di volere la verità a qualunque costo, quelle belle verità che ti accolgono in un’inevitabile abbraccio. Potevo giustificarmi con l’enormità del fatto: l’amavo, anzi l’avevo amata moltissimo. Inutile negare, sciocco girarci attorno. Era questa la verità pura e semplice. Mi restava lo sterile esercizio di crogiolarmi nella rassegna dei fatti: cosa eravamo noi? Chi eravamo? Dieci anni prima eravamo due bambini che talvolta s’incontravano: troppo piccoli e lontani, uno a Milano l’altra a Trapani: due ragazzini ai capilinea dell’Italia e della vita. Che potevamo mai raccontarci di tanto impegnativo da riannodare ogni volta i fili? Nulla, credo, quasi nulla. Ma le risate risuonavano, quelle di lei soprattutto, tante e naturali; argentine come piccole cascate destinate ad estinguersi ai primi calori. Solo risate e piccoli segreti, da pronunciare sottovoce, con la mano davanti alla bocca. Confidenze ormai dimenticate per sempre, questo eravamo.
Però, durante una lunghissima e immobile estate, un gesto adesso lo rivedevo: staccato da tutto, particolare. Lei non poteva essere così spesso stanca da posare la testa sulla mia spalla. Gli adolescenti possiedono la forza di dimenticare di se stessi, è un meccanismo d’autodifesa per sopravvivere all’eccessivo profumo della vita e percorrere ogni sentiero senza sceglierne nessuno. Unici testimoni del momento furono quindi la spiaggia dorata sotto l’acropoli di Selinunte e i nostri quindici anni. Eravamo ad un passo dal Paradiso e ci scherzavamo sopra. Durante quell’estate accadde spesso, gli amici e i parenti non videro, non capirono…non capimmo nemmeno noi. Il sole di quella stagione del ‘66 fu così implacabile da bruciare in fretta ogni idea, ogni proposito. Ci alzammo presto dall’arenile e ce n’andammo, ognuno per la sua strada: volammo via come pagliuzze mosse dal vento di scirocco. Adesso vedevo tutto con chiarezza: le stagioni che trascorrevano uguali, le estati seguenti che si erano consumate distrattamente. Un’occasione sospesa: quattro anni prima ero abbastanza giovane da avere dentro il grande vuoto da riempire in fretta di sogni verosimili; il vuoto adesso mi stava inghiottendo nuovamente!
Dimenticare, dimenticare, l’unica parola d’ordine valida; impossibile eseguire l’ordine capitano riesco solo a ricordare… La tarda estate del ‘73 a Palermo mi riservava una sorpresa dietro l’altra. La più grande riguardava la luce, un fenomeno banale che, invece, da queste parti aveva una personalità decisa che mutava il carattere e il significato delle cose. Questo era fondamentalmente il motivo per il quale uscivo quasi ogni sera prima del tramonto. Volevo godermi il trascolorare della luce sulle case, le vie, le piazze. Volevo imprimere nella mente il colore del cielo dietro gli alberi di Viale Libertà un minuto prima dell’ultimo guizzo di sole, salutato e accompagnato dal cinguettio impazzito di migliaia d’uccelli che si preparavano alla loro precoce notte. Quando arrivò il primo Natale siciliano con i suoi diciotto gradi a mezzogiorno e il sole caldo sul mare azzurro di Mondello, pensai ad uno scherzo bizzarro del calendario e cominciai a capire che c’erano ancora moltissime cose da regolare sul nuovo fuso orario della mia vita. Pensai solo a questo e non potevo immaginare il cataclisma in agguato in una luminosa mattina d’Aprile in una strada di un piccolo paese bianco alle porte di Trapani. Io non sapevo, mi sono interrogato mille volte, la risposta è sempre la stessa: io non sapevo, non avevo considerato i segni che pian piano negli anni s’erano coagulati. Avrei dovuto invece, potevo vedermi che ero maturo, pronto a cadere nell’unica direzione preparata per me dalla vita. Selinunte, la spiaggia, i piccoli segreti, le confidenze, la sua testa poggiata su di me. Non ci fu alcuna premonizione. Solo un lampo accecante. Conoscevo solo me stesso innamorato di te: una sensazione esclusiva e totale: il riflesso d’un uomo innamorato, pieno di sé, forte del suo sentimento nella mente e nel corpo, compiaciuto della propria inaspettata bellezza. Quando diventò un’illusione ottica te ne accorgesti solo tu… e cominciai a farti pena, poi rabbia ed infine, per evitare il fastidio, te ne andasti lontano a studiare, a costruirti un avvenire. Per noi potevano bastare qualche lettera o qualche telefonata; altre erano le cose importanti, le prospettive da modellare. I sognatori sono morti…si dispensa dalle visite. Mi bastò guardarti in viso perché l’inquietudine diventasse paura. Ero appena sceso dal treno ed eri lì sul marciapiede ad aspettarmi con la famiglia al gran completo. Baciarti sulle guance, abbracciarti, fu come strapazzare le corde di un violino. I soliti convenevoli s’intromisero a non far precipitare la situazione, al resto pensarono i familiari.
Per tre giorni, incredibilmente, custodimmo i nostri resti senza una preghiera, un lamento, la tua pelle era cerea, i tuoi meravigliosi occhi verdi opachi e sfuggenti. La recitai anch’io la parte del fidanzato che esce a passeggio, che fa salotto con parenti e amici, che ride celiando alle battute di rito. Riuscii anche ad ingurgitare di tutto, a pranzo e a cena, anche il fastidio di me stesso. Ma alla quarta colazione la catena di montaggio delle ipocrisie inutili si arrestò. La parte di me che in tutti gli anni precedenti era stata espulsa dall’aula, con un colpo di mano rientrò, trovò un attimo di pausa e con poche parole raggelò l’uditorio. La maggioranza, ovviamente, reagì con vigore appellandosi alla profondità dei sentimenti più veri, all’ovvietà e alla bellezza dell’amore che trionfa sempre su tutto e tutti, ma era già in crisi. Il tarlo del dubbio aveva iniziato il suo lavoro distruttivo. Maledizione, maledizione Giusy: al diavolo i pranzi e le cene, le chiacchiere e le visite, alla malora questi sorrisi da saldi fine stagione. Al diavolo tutto signorina. Che c’era nei tuoi occhi? paura, disappunto, fastidio… il nulla? Non c’era comprensione né solidarietà, ma al pranzo ci arrivammo lo stesso. E fu qualcosa di memorabile. Nonostante gli sforzi delle persone che ci sedevano accanto persisteva nell’aria la sensazione, incombente, che qualcosa stava per accadere. La mia fidanzata, inappuntabile, sembrava districarsi bene in questo gioco di bastoncini cinesi: ne aveva già levati dal tavolo un paio di veramente pericolosi. Il pubblico venuto ad assistere alla commedia “Un amore difficile” stava iniziando a tirare un po’ il fiato: forse si andava verso un lieto fine e già circolavano i primi sorrisi di compiacimento. Fu una frase, una piccola serie di parole, una caratteristica del tuo modo d’essere tagliente nel parlare. Arrivò dura, inaspettata, dolorosa come un tradimento… non riesco a ricordarla nemmeno ora. Calò come una mannaia e già non c’era più nulla da fare, la reazione a catena si era avviata. Finalmente dopo giorni e giorni eravamo soli, nuovamente soli come qualche anno prima e tutto il mondo si stava tirando in disparte, sullo sfondo. Ti guardai in silenzio, mentre furtivamente ti mordevi il labbro. Io ero un automa e quel che vivevo era un incubo pari per intensità solo al silenzio che regnava in salotto. Continuavo a far scorrere nella testa gli ultimi anni, ma stavolta i conti non tornavano: i sogni, le emozioni… ogni cosa con un sapore diverso. Il paese antico, poggiato in cima al monte fu l’unico testimone dell’assassinio: guardava da millenni quel panorama, quella terra di viti e gerani, di sale e di azzurro, di mulini a vento e di sole. Speravo che potesse convincerti, che fosse capace di dirti ciò che io non sapevo. Speravo….Faticai persino per convincerti ad entrare in salotto. Volevo parlarti, chiarirmi con te. In realtà non sapevo nemmeno da dove iniziare e tu non mi aiutasti. Eri lì, terrea in viso, rigida come una statua di cera che, sciogliendosi, muta forma e dimensioni sino a diventare una macchia senza senso sul terreno.
Te lo chiesi, infine, se ancora mi amavi e non volevo sentire la risposta
– Non lo so, Enzo. Non lo so più –
Il mare aveva inghiottito l’arenile e i due ragazzi che vi passeggiavano sopra. Addio signorina, ero ridiventato il vecchio ragazzo che sapeva molte cose e, mentre scendevo le scale di casa tua per l’ultima volta, mi fermai e guardai in alto. Eri lì, al primo piano. Mi guardavi anche tu, i tuoi occhi, i tuoi magnifici occhi verdi, smarriti, inutilmente provati. Fuori il vento sollevava polvere, dovevo fare in fretta, il treno per Palermo partiva alle diciotto e trenta. Infine ci voleva del tempo per capire, un tempo non definibile, breve o lungo che fosse. Tu eri appunto il mio tempo, quello che mi serviva per raccontarmi nei gesti più disparati e apparentemente lontani. Le frasi giuste arrivarono in ritardo come sempre: dicevano, di un uomo fortunato perchè aveva conosciuto l’amore che si trova nei luoghi e nelle persone, nelle parole e persino nelle ideologie, nelle fughe e nei ritorni. L’amore era un patrimonio enorme e noi non potevamo contenerlo tutto…si apre un interruttore, un giorno, e poi a ondate la vita ti porta via come un fiume in piena e tu non puoi rifiutarti di essere diverso da prima! Il treno mi distanziava come un replay al contrario C’era qualcosa che mi chiamava in questa terra dove sono nato e non era solo desiderio di luce e di sale, era il bisogno assoluto di rientrare nel calco prima che fosse troppo tardi: l’orologio scorreva in fretta ed io già intravedevo la periferia della città dal finestrino: Palermo, stazione di Palermo Notarbartolo, gracchiò la voce dall’altoparlante e mi sembrò un motto di scherno. Il primo di una lunga serie.
venerdì 18 aprile 2025
C’è una luce particolare oggi sullo jonio, un filtro di perla per ammorbidire gli spigoli dei miei umori confusi. Anche ora la musica di uno degli artisti che ho amato di più mi porterà fuori dalle secche di questa sera infinita, sarà il dito che ti indicherà la mia luna, ti dirà le parole che io non so pronunciare e avrò la speranza che l’amore in assoluto ricomponga il dissidio di sempre e che scriverlo non sia stato inutile. De Andrè ha già iniziato a raccontare del chimico che conosceva la legge che permetteva agli elementi di convivere senza scoppiare e ancora una volta chinerò la testa per ringraziarlo d’avermi fatto guardare oltre.
giovedì 17 aprile 2025
UN MILIONE DI COSE -
Ci sarebbero ancora un milione di cose: da fare e da scrivere. Un milione di vite da vivere dentro di noi e fuori. Ho sempre scritto come se non avessi più tempo e niente da perdere, assolutamente libero da vincoli economici e formali, la mia vita posata sul tavolo di un obitorio bianco e silenzioso ed io che la guardo con ferma rassegnazione in attesa di un’altra dimensione e un altro modo. Ho bruciato così alcune stagioni e molti luoghi, molte pagine e altrettanti incontri. Però sono sempre ritornato a recuperare le mie spoglie cosciente che gli altri non avrebbero saputo che farsene ed esse sarebbero rimaste in un angolo ad ammuffire tristi e senz’anima, la mia. Bisogna crederci, senza la coscienza di una superiore utilità e di una più alta dignità, senza la consapevolezza che esiste una pagina più vasta e severa nella quale ogni goccia di pensiero ha da sempre la sua giusta collocazione non ha alcun senso battere sui tasti o tenere una penna in mano. Stamane è giorno di pulizia e ricordi, di sentenze e analisi di vecchie e nuove cose, possiamo cominciare a chiederci cosa ne sarà di noi….e di tutte queste parole lasciate qui.
lunedì 14 aprile 2025
Le mie pagine sono lì, saranno così fino a quando il potere elettronico lo permetterà. Non so chi le legga, non so più nulla, ho inserito la moderazione, poi l'ho eliminata, ogni tanto costruisco una nuova colonna sonora (è il mio unico diletto), cerco immagini, vi leggo e scappo via lontanissimo a implorare il mio sogno di non abbandonarmi per sempre, gli giuro che scriverò ancora di lui, sciorino progetti e spargo in giro fogli appena accennati. Lui mi guarda silenzioso poi mi dice che è tutto pronto, che il mio testo l'ho scritto in un tempo lontanissimo e estraneo a questo e che c'è una donna che lo conserva. Appartiene a lei.
domenica 13 aprile 2025
MEZZORA PRIMA -
Credeva di averne di più. A dir la verità non lo aveva mai considerato: il suo tempo nel tempo che viveva giorno dopo giorno. Pur avendolo riempito di un'infinità di cose inutili e lunghe, anche sacrificandolo ad una quantità di altri tempi diversi per fogge e prospettive, pensava di averne davanti ancora una misura praticamente infinita. Aprendo la porta dell'ascensore e premendo il tasto del piano quest'idea sottile cominciò a crescere dentro di lui: il tempo, il suo tempo a scadenza. Giunto al piano chiuse la porta del mezzo ad altre considerazioni scomode, aprì quelle dell'ufficio ed entrò. La decisione di prendere subito il caffè lo sorprese: era un gesto che stravolgeva le sue abitudini, non era nei programmi, non era nemmeno nella sua testa. Da dove veniva allora? La sua vita da moltissimo tempo aveva assunto a buon prezzo quel meccanismo autoregolante che serviva a non mettere niente in discussione: un'omeostasi esistenziale perfetta. E inutile.
- Faccia un caffè signorina, per favore.
- Caffè dottore?
- Caffè Irene, un caffè. E me lo porti qui, per mezzora non ci sono per nessuno.
Il tempo riaffiorava lentamente ma con progressione costante; anche lì in quella stanza dove non aveva mai avuto cittadinanza, si ripresentava senza appuntamento. Era sgarbato. Trovare qualcosa per riempire il vuoto che riapriva scenari così lontani da non considerarli più personali, ecco cosa doveva fare assolutamente. Il vuoto si allargava e lui lo guardava immobile. Scrivere! Scrivere era la terapia giusta: lo aveva pensato quasi per sbaglio, non ci credeva fino in fondo. Scriveva da sempre senza pensarci, come un gesto fisiologico, solo un aspetto dell'equilibrio più vasto che governava la sua vita. Un breve cigolio alla porta indicò il caffè e il sorriso impacciato di Irene appresso a quello. - Ecco dottore - Lo lasci lì Pensò poi di non aver ringraziato come faceva abitualmente, evidentemente nulla quel giorno era usuale, nulla prevedibile. Accese il computer e guardò lo schermo luminescente per un attimo lunghissimo. Scrivere, provare a scuotere la patina di sottile e persistente condiscendenza all'impossibilità di comunicare al mondo che nonostante tutto egli esisteva. Un argomento! Gli serviva un argomento, qualcosa che suonasse con quel timbro inconfondibile che solo la vita vera possiede. Mandare in pensione l'anima dei giorni non era stata una buona idea, lo capiva adesso in quella stanza che non possedeva alcun appiglio per credere a una sequenza non meccanica dei gesti e delle parole. Il viso della ragazza gli entrò in mente improvvisamente, chissà da quanto tempo era seduto in un angolo silenzioso, i sorrisi non crescono mai senza una fede, senza un altro sorriso più intimo. Questo adesso gli galleggiava davanti e tutto il resto uscì sulla tastiera quasi in un fiato.
Imparai
da bambino a centellinare
la
magia che una ragazza
sparge
attorno a sé.
Scivolare
tra le pieghe di un suo
sguardo,
assaporare
poi, nel ricordo
di
un’ora dopo, l
a
trasparenza di una mano,
il
particolare timbro di un silenzio,
gli
altri mondi
soltanto
accennati in un volgere del capo.
Ti
osservo ancora a quel modo
e
tu giochi a far finta di non saperlo.
Imparai
da ragazzo a rincorrere
la
diaspora di pensieri
che
una donna porta con sé.
Ed
è così che non ho mai scordato
il
primo stupore di te.
Un
po’ di quella magia ancora s’insinua
tra
noi
come
una carezza di seta
al
termine di questo giorno.
Aveva finito. Togliere la sordina ai propri pensieri lasciava nella testa una tabula rasa inaspettata e felice: bisognava soltanto lasciarla correre questa nuova sensazione, avrebbe raggiunto la ragazza e il suo cuore, i sogni di una vita diversa e di un tempo diverso. Era così facile, come non averci pensato prima? Facilissimo, leggero ed esaltante. Lo avrebbe rifatto! Tutte le volte che voleva lo avrebbe potuto rifare. - Signorina sto uscendo. Telefoni a tutti e sposti gli appuntamenti al pomeriggio. - Dottore ma...
Non si accorse dell'ascensore, dei tasti, dei piani, della gente. Non aveva tempo, non poteva perdere tempo. La macchina lo investì dieci metri dopo il portone mentre attraversava senza guardare per raggiungere il posteggio: un secondo prima di morire pensò che il tempo si era ripreso tutto, poi fu solo buio. Coloro che accorsero videro un cadavere sorridente di traverso sull'asfalto.
- Non è il dottore che lavora qui? Avete chiamato un'ambulanza?
mercoledì 9 aprile 2025
ASSIOMI UNITARI -
Non scrivo di questo argomento per spirito da bastian contrario, ho vissuto infanzia e adolescenza dentro una storiografia ufficiale scontata e lustrata a festa. La mia idea e la mia sorda rabbia sull’Italia attuale nascono da una coscienza diversa e da letture e riflessioni diverse non più vivibili all’ombra di una menzogna letale per questo paese e i suoi abitanti. Il post è dedicato ai militanti leghisti, ai padani, agli dei del “mercato” e della “fabbrichetta”, ai melomani del Nabucco e a tutti coloro che hanno una paura blu di dire chiaro come la pensano. E' anche l'incipit di quello che vorrei scrivere in un futuro non troppo lontano e altrove: storia vera, prospettive diverse e non agiografie insulse e menzognere. Vorrei far sentire in questo consesso virtuale di zombi di lusso, più abituati ai talkshow d'elite di una intellighentia d'avanspettacolo, vorrei far sentire la voce del SUD, di quello massacrato (anche dai suoi stessi rappresentanti!) e sparito poi dentro una storia unitaria da barzelletta: vorrei che questa voce cantasse chiaro in faccia a quegli altri che abitano sopra una certa latitudine e che sono convinti di essere anche una spanna almeno sopra a tutto il resto. Sono certo che riprenderò questo argomento, in altri tempi e in altra sede, questo è solo un "assaggio".
Mi stanco troppo presto delle cose che faccio, è come se in fondo non avessero midollo o mancasse il guizzo finale per farmi godere e dire ecco ci siamo. Vale per questo blog e per molte altre cose. Dunque, la storia patria ufficiale recita che i tre maggiori artefici morali e materiali dell’unità italiana furono Cavour, Mazzini e Garibaldi. Ad essi dobbiamo la nascita e la spinta che ci ha portato ad essere, buoni ultimi, una nazione unita nel consesso delle altre grandi nazioni europee. Di questi che a buon diritto possiamo definire “padri della Patria” Cavour rappresenta la mente organizzativa e politica finale, una delle personalità più lucide e importanti dell’Europa di quel tempo. L’Italia unita gli deve gran parte della sua esistenza! La mia personale opinione su questa figura storica mi mette fortemente a disagio: vorrei tanto usare quell'aplomb necessario a dire le cose con un nitore non inficiato da parole grossolane o giudizi affrettati. Basta!
E' incredibile l'uso continuo e raffazzonato della menzogna storica che profitta dell'ignoranza delle vecchie e nuove generazioni, non è accettabile definire il Conte di Cavour come un ideologo di un'Italia unita. E' una menzogna colossale! Forse potremmo dare un giudizio diverso sul concetto di Repubblica affrontando la figura ideologica ed esistenziale di Giuseppe Mazzini. Garibaldi meglio lasciarlo stare, non si può discutere con serietà di un guerrigliero spavaldo e abile cui fu commissionata una guerra di fatto pilotata in altro luogo Se questo stato deve avere le sue fondamenta su questa storiografia ridicola se nessuno dei luminari della cultura italiana ne tantomeno le principali cariche istituzionali si pongono il problema della vergogna nei confronti del popolo e della obiettività storica...se le cose stanno così è impossibile discutere. Cavour non aveva nessuna intenzione unitaria per l'Italia, non ne ebbe mai! Camillo era un francese della Savoia, pensava da francese, amava da francese e parlava francese. Lo parlava molto meglio dell’italiano, fate conto alla caricatura di Fiorello su Carla Bruni…ecco una cosa così. Camillo se scriveva in italiano faceva in 10 righe molti più errori di me, e infatti le cose importanti le pensava, diceva e scriveva in francese: una volta dichiarò che se lo avesse saputo prima non si sarebbe certo posto il problema unitario. Non sarebbe potuto essere diversamente perchè il Conte non conosceva l'Italia e il punto più a sud raggiunto nella sua vita non superava il parallelo di Firenze. Il Presidente attuale della Repubblica italiana farebbe bene da siciliano a rileggere con onestà la storia tra il 1848 e il 1861, capirebbe così che Cavour era il padre di un'idea che con l'unità nazionale non centrava nulla. Lo sanno tutti che la sua idea era quella di un'Italia divisa in tre parti, nord centro e sud, distinte e separate. Lui ovviamente organizzava la parte settentrionale, le altre se la sbrigassero i francesi col regno pontificio (e lì erano grane) e i Borboni col loro vasto regno delle due Sicilie. E prima ancora aveva idee molto più “limitate”: un Piemonte come parte integrante della Francia che poi se ci pensate era la cosa più logica. Ma quale unità e quale sud, dai non scherziamo a Camillo Benso del sud non importava niente, solo grane erano, grane e problemi. Del sistema o per meglio dire della logica che regolava queste idee politiche e i progetti che da esse discendevano possiamo parlare e inorridire. Sotterfugi, accordi segreti, trame, accordi con Napoleone III, spartizioni precostituite, matrimoni ad hoc. Niente di diverso dalla logica che aveva regolato la vita politica europea nel 1815 col Congresso di Vienna! Una situazione ridicola in nulla diversa dalla concezione assolutistica delle grandi monarchie e dalla considerazione "greggi da spartire" secondo interessi sovranazionali e popolari. Questa non è una valutazione personale signori, questo è scritto nero su bianco nei carteggi tra i personaggi in questione ed è questo che mi rende particolarmente insofferente nei confronti della rete attuale e dei suoi guru da quattro soldi. Nessuno legge, ma tutti scrivono, nessuno posa mai lo sguardo sulla lettre eternelle inviata da Cavour a Vittorio Emanuele oppure sulle epistole tra il Conte e Costantino Nigra. Pochi si sono posti il problema delle tesi esposte tra l'imperatore francese e Cavour nei due giorni di Plomberies. In poche parole nessuna unità nazionale, tre Italie, e il regno del sud o succube o in mano a un napoleonide. Non andò esattamente così, contrariamente alla volontà di Cavour, la Storia prese una direzione diversa ma l'idea centrale non era certo quella di una vera e sentita solidarietà nazionale. Bugie, solo bugie istituzionalizzate e trangugiate dal popolo bue. In ogni caso comunque si volesse poi affrontare il problema del regno delle due Sicilie c’era un problema, quello di sempre ragazzi miei (anche voi del nord), IL DENARO!
Il Piemonte era in bolletta. Non lo sapevate? Bene ora lo sapete, bolletta rossa, quasi bancarotta. Cavour era un grande organizzatore, tessitore si dice meglio, pieno di idee strategiche ma ogni tanto andava male e i Savoia erano nei guai, chiedere a Rotschild per conferma. Io propongo una visione diversa e credo molto più realistica. Cavour pensò infine - del regno di Napoli non me ne frega niente ma ci sono qui un gruppo di esaltati (terroni e polentoni assieme) che hanno smosso troppo le acque. Se mi avessero dato retta....ma loro no, sti stronzi dilettanti, hanno riempito la testa di balle a quel grosso orso scemo di Garibaldi e adesso non si può più tornare indietro... certo che se l’Inghilterra si fosse fatta i fattacci suoi…ma anche lei ha il suo tornaconto. Non resta altro da fare che guidare, per dir così, il destino. Facciamo conquistare questo regno di beduini a Garibaldi, ufficialmente noi non c’entriamo ma sotto sotto ci siamo eccome, agenti segreti, accordi sottobanco, e chi più ne ha più ne metta. Ci pappiamo le due Sicilie che sono piene di soldi, saldiamo i debiti e poi organizziamo tutto e tutti con il Savoia way of life. E così fu, non potendo evitarla l’unità d’Italia si fece e si fecero anche quelle farse di annessioni di cui il 90% dei cittadini non comprendeva il carico nè presente nè futuro. Terminata l’operazione (su cui si potrebbero scrivere fiumi di parole) il chirurgo Garibaldi fu sbattuto fuori dalla sala operatoria con una pedata nel sedere (troppo volgare come tipo) e iniziò l’avventura che ancora oggi non è finita. Pochi probabilmente vorranno commentare le mie allucinazioni simil storiche ma anche così devo dire che le barriere si innalzano quando ci si vuole “difendere” da verità storiche troppo scomode e politicamente scorrette. Amen ricominciamo. Stavolta cambiamo argomento, parliamo di noi, di noi che abitiamo su questo pontile sparato nel Mediterraneo con relative appendici. Cominciamo male perchè le parole saranno inutili e questa specie di paese sarà sempre più spaccato. Sapete che vi dico? Rompiamo l’anguria! Visto che dal Nord cala con monotonia aberrante sempre la solita musica distruggiamo gli strumenti e facciamolo a muso duro. Da terroni insomma. In sintesi la questione è questa: eravate poveri, sporchi e arretrati. Vi abbiamo portato ricchezza pulizia e civiltà. Quindi non rompete le scatole e statevene almeno zitti. Balle! Grosse balle! Il Regno delle due Sicilie era ricco e prospero, comunque situato ai piani alti degli stati europei. La sporcizia non era quella di adesso, quella postunitaria; se qualcosa di sporco c‘è stato è la continua cancellazione di fatti storici sostituiti con una narrazione di comodo. La civiltà è meglio non nominarla! Non era Torino la città guida dal punto di vista culturale bensì Milano e Napoli e non da ora per la città partenopea ma nei precedenti 6-7 secoli. Nomi se ne possono fare decine.
Leggere qualcosa d’altro prego e non solo il giornale di Feltri o quello che si dice libero. Leggere in Italiano, quella lingua che nella mia isola si parla abbastanza bene e che viene scritta pure con qualifiche da Nobel, tanto per dire. Leggere signori da Roma in su. Leggere e riflettere perché: “la storia non può essere studiata secondo le direttive del partito in cui si milita o di cui si condivide l’ideologia e il programma politico. Dobbiamo liberamente ricostruire il nostro passato anche se ciò significa porsi controcorrente, con il risultato di non essere congeniali né agli storici di destra che di sinistra.” Tommaso Pedìo, massimo storico lucano, nella sua lezione introduttiva al corso di Storia Moderna dell’Università degli Studi di Bari, Facoltà di Giurisprudenza, anno accademico 1967-68 riportata in “Economia e società meridionale a metà dell’Ottocento” di Tommaso Pedio, Capone Editore, 1999.
domenica 6 aprile 2025
Una teoria lunghissima durata decenni ed ora la solitudine si è impossessata di te, crede di essersi presa tutto, lo pensano tutti e la ragazza lontana che non si ricordava più di se stessa fa finta di crederci allo stesso modo. Nascondersi agli assassini dei sogni segreti è l’unico mezzo per sopravvivere. Almeno un po’.
Adesso l’ultimo atto: una cosa dovuta alla libertà di comunicare; lasciare libero questo spazio nell’etere e vedere passare la vita, le voci, i sussurri, le mani…le bocche, gli insulti sanguinosi e volgari o le lodi suadenti e confortanti. Appresso ad esse nessuna risposta definitiva non per arroganza bensì per una cosa che si chiama discrezione silenziosa o mortale superiorità. Dalle mie parti funziona.
I commenti sono un blog. Sono anche l’eternità del post quando esso merita di vivere. Però i commenti sono un gesto d’amore e l’amore è intellettualmente esclusivo nel momento in cui lo pensi, definitivo e terribile appena lo hai scritto. Quindi commentare seriamente è trasgressivo e induce la gente ad odiare il miracolo che si crea tra il post e quel commento.
sabato 5 aprile 2025
A MACCHIA D’OLIO
Sarebbe necessario avere un'idea precisa del termine "Nazione", del suo significato culturale in senso lato, storico, culturale e religioso: in rete pare ce l'abbiano in pochi e si gioca pericolosamente con tale ignoranza. Si gioca in modo scorretto.
L'assioma secondo il quale non si debbano impedire migrazioni di entità simili a quelle degli ultimi anni ma anzi le si debba favorire è PURA FOLLIA. Non ha altro senso a meno che non si stia perseguendo una precisa strategia mirante a una nuova pulizia etnica applicata col metodo della sostituzione progressiva di una popolazione sull'altra, di una eradicazione dei principi economici culturali di certi popoli a favore di altri. Io non sono d'accordo e lo affermo in modo netto: l'islam non mi piace e non lo voglio tra i piedi. Questa affermazione, grave me ne rendo conto, non dovrebbe significare che non voglio gli islamici accanto ma come si fa a separare una fede come quella nell'islam dalle sue conseguenze civili e sociali? E' possibile sorvolare allegramente sulla realtà concreta di una società islamica come si vede chiaramente in tutte le realtà in cui questa religione domina il panorama umano? E' lecito negare che tutti i paesi islamici sono teocratici? Come posso da occidentale dimenticare la storia del mio continente, lo spirito culturale, religioso, politico di questo ultimo millennio, posso far finta che S. Francesco, Giotto, Michelangelo, Lutero, Voltaire, i roghi...mio padre e mia madre svaniscano perchè ci sono altre realtà più importanti e nuove? Rimescolare le carte in ossequio a tendenze e ideologie imposte da una pseudo cultura da web pilotate da un europeismo a senso unico non fa per me. Non mi piacciono coloro che dopo decenni di lotta per la laicità dello stato e dei cittadini, dopo prese di posizione durissime nei confronti del Vaticano e della idea cristiana di società, dopo anni di scrittura sulla liberazione femminile, non alzano un dito, non scrivono un rigo non cantano una canzone contro il mondo islamico ma invece scrivono in rete felici e beati del suicidio intellettuale verso cui stanno precipitando. O sono pazzi o sono ipocriti: li disprezzo in entrambi i casi. Guardate per un attimo le coste dell'Africa settentrionale e della Turchia, osservate la posizione geografica di Grecia, Italia, Sicilia, Spagna, analizzate gli itinerari e i confini nazionali e pensate a chi vive dentro di essi. Questa è l'unica e seria cosa da fare prima di sparare giudizi etici e affrettati sui fatti degli ultimi dieci anni nel Mediterraneo; l'islam e non solo la sua povertà endemica si sta diffondendo a macchia d'olio sul vecchio continente.
A chi giova? Al mondo femminile senz'altro no: qualcuno mi spieghi allora come mai è soprattutto il mondo femminile a appoggiare una simile causa. Le donne di cultura, con buone letture alle spalle, con una vita di sacrifici spesso misconosciuti, con un'idea chiara e forte della propria identità sociale e culturale NON PRONUNCIANO UNA SILLABA CHE SIA UNA contro lo scempio legalizzato che l'islam pratica sul mondo femminile! Una parola care blogger dei miei stivali su atti sociali che da noi si chiamano stupro, pedofilia, schiavitù etc etc e sui quali voi invece siete disposte a leggiadre giravolte pur di dimostrare che sì va bene così e bisogna comprendere. La cosa sconvolgente è la reazione che avete appena qualcuno/a ve lo fa notare: scandalo e acredine a gogò, puzza sotto il naso e ironia a un tanto al chilo. Tenetevi stretta questa idea, resto della mia e non intendo favorire in alcun modo la trasfusione di quel mondo nel mio per vederlo sparire entro i prossimi trentanni.
mercoledì 2 aprile 2025
Le donne sono una magia che di volta in volta molti di noi sciupano accontentandosi di mediocri spettacoli di prestigio: in verità temiamo il grande incantamento e il senso di perdizione che esso porta con sé. Così stupriamo invece di amare, limitiamo invece di liberare, ci comportiamo da maschi e abbiamo solo femmine mentre dovremmo essere uomini e confrontarci con le donne.
Molto al di là del limite dell’orizzonte abbiamo deciso di tornare a riva, di festeggiare l’inverno e invocare in silenzio le onde del cuore. Tarderà il sole nel suo addio e noi balleremo ancora sulle luci riflesse il ritmo delle maree. Stanotte soltanto. Giulia sono trascorsi 29 anni oggi ma io non ho dimenticato.
martedì 1 aprile 2025
LE MURA DELLE CATTIVE -
Se fossi uno storico di livello, uno come Villari, ad esempio, oggi, affacciato da questa balconata, direi che essa e tutto quel che vi sta attorno, sono l’esempio perfetto dell’arretratezza e del distacco dall’altro mondo, dall’altra Italia, quella unita all’Europa. Se non avessi letto fin da ragazzo, se i miei non fossero stati quelli che sono ed io non avessi camminato su e giù per le strade di questa penisola vagheggerei facilmente facili scappatoie culturali per lasciare la mano. Se non mi fossi perso dentro certi tramonti e certi profumi e li avessi considerati solo parte di un bel viaggio esotico, oggi guardando il lungomare e la nave che sta per entrare in porto direi a me stesso: peccato tanta bellezza in tanto disordine. Ma parlare di Palermo, della mia città, del mio intimo è un’altra cosa, è un’impresa non risolvibile in battute di forte impegno critico o di inesauribile affetto sconsiderato. Queste sono le mura delle “cattive” cioè delle prigioniere del proprio stato di vedove e inavvicinabili signore del tempo che fu. Chissà come venne interpretato il nome in questi ultimi 3 secoli dalla gente che non masticava nemmeno l’abc della lingua latina? Importa poco, le Cattive continuarono per lungo tempo ad osservare, golose, la passeggiata sfarzosa di chi poteva uscire allo scoperto senza dar scandalo…salvo poi fare le medesime cose in modo più riservato dentro gli immensi saloni dei palazzi nobiliari.
Palazzo Butera fa da sfondo e osserva severo la storia che è transitata da qui. Io provo a fare lo stesso e guardo tenendo poggiate le mani sul granito muschioso che delimita i bastioni. La storia prima vociante e adesso silenzio, la storia immota e quella che diede l’impressione di una gran corsa: tutta la storia insieme che preme su questo lungomare e nessuno vuole più ascoltare. Passarono le truppe garibaldine con le camicie piene di parole alte e romantiche, Patria, Unità, Italia…progresso. Prima di loro vicerè e imperatori, Normanni e Saraceni e altre parole, altre divise sotto lo stesso cielo e davanti allo stesso mare. Il Gattopardo incontrò qui la sua ultima signora, quella vagheggiata da sempre, e i suoi simili riempirono di luci e di lussi i saloni di questo palazzo e dei palazzi vicini: carrozze e sete fruscianti, baciamano e valzer a due passi dalla miseria più degradata. Ma io sono un uomo del secolo scorso, per qualche strana condizione non ripetibile vivo davanti a quest’epoca che crede di poter essere quella definitiva…è giusto così perchè la speranza rinnovabile è l’unica cosa certa per ogni nuova generazione. Sapeste quanti lo hanno pensato: dignitari piemontesi e ragazze del bel mondo fin de siecle, vescovi cardinali e politici della Dc anni 50. Nessuno di essi “cattivo” ognuno dimentico del giorno in cui, 9 maggio del 43, questa città spari sotto 420 fortezze volanti della Usa Air Force. Ah gli americani come sanno risolvere alla radice ogni problema: nessuno sa con certezza quanti furono quel giorno i morti , tredici… quindicimila, le bombe della Pensylvania come viatico alla scomparsa di un mondo inutile e fuori mercato. Qua davanti sono passate le camicie nere di Mussolini e i picciotti di Totò Reina, i compagni di Peppino Impastato e le auto blu di Raffaele Lombardo. La mia città che fra poco sarà di nuovo sotto quel blu cobalto delle sere d’estate che non hanno nulla di umano, Palermo punteggiata da campanili, guglie moresche e ville liberty. La mia città che digerisce tutto e non si può comprare a nessun prezzo, la mia maledetta lezione di storia, di principi e comparse, di gloria e fine di tutto. Palermo di Elvira Sellerio e di Totò Cuffaro, Palermo fuori dall’Europa e dalla Padania, Palermo che ricorda i diciotto anni dalla morte di Giovanni Falcone e l’Italia, lo Stato Italiano che incredibilmente sopravvive ad una strage che nessun paese civile avrebbe sopportato. “Senza vedere la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia. E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto” W. GOETHE). Un paradosso uno dei tanti, un ‘idea di nazione che passa dagli antipodi di Milano e Torino oppure la fine di quel sogno (o menzogna) unitario che scavalcò lo stretto per tornare da dove era venuto. Non so perchè ma non mi riesce mai di parlare di Palermo: sono un siciliano del secolo scorso e come tutti i siciliani, sono al tempo stesso dentro e fuori gli eventi, sempre in preda ad astratti furori e amori infiniti, inquilino della Storia, pronto ad esserne sfrattato. U’ sapiti com’è no?
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