Poi, all’improvviso, questo stillicidio cromatico e temporale divenne un urlo viola. Il disco solare emise un respiro tagliente di luce rossa e il tempo si fermò. Tutto immobile, il cielo, la terra su cui posavo i piedi, il sole pronto ad essere inghiottito dal mare, le pietre dei templi e l’aria con il suo sottile aroma di rosmarino. Io ero lì, come il bambino di vent’anni prima e l’uomo di adesso. I miei ricordi d’infanzia legati ai pensieri da vecchio che rigiravo nella testa. Ogni cosa al suo posto, sospesa, perfetta nel suo significato più intimo, senza alcuna necessità di collocazione temporale. Probabilmente era questa l’eternità, quella parte di metafisico che ognuno di noi possiede e che spesso chiamiamo anima; il desiderio struggente che divora la nostra vita come un’amante irraggiungibile. Mi invase un benessere calmo, profondo ed io lo assaporai fino in fondo, le braccia allargate e la testa reclinata all’indietro: poter riflettere e finalmente capire come si era chiuso il cerchio della mia vita, cosa avevo fatto e cosa ero diventato. Furono le cicale a segnare la fine dell’incantesimo, a farmi scendere dal divano di pietra. Attorno al tempio camminavano tranquillamente mio padre, mia madre, mia sorella; la famiglia di nuovo unita e fu molto bello tornare ragazzino, con loro. Quella notte, seduti sul grande capitello rovesciato, abbiamo ascoltato con attenzione le molte storie, le piccole grandi avventure narrate da mio padre. Il firmamento era un enorme puntaspilli di velluto nero pieno di stelle e galassie. Fu eccitante osservare una luce mobile che attraversava lo spazio sopra di noi: un aeroplano? Forse un satellite? Più probabilmente lo sguardo divertito degli antichi Dei che osservavano il nostro formicolare quaggiù sulla terra. Papà, sono certo che anche tu ricordi le notti in cui stavamo tutti con il viso in aria a farci accarezzare dal vento tiepido che veniva dall’Africa. Esse non sono trascorse per sempre, sono soltanto andate altrove a raccontare di noi quattro e dei nostri stupori.
Si apre il sipario: c’è un gran cannistru di rosi e di ciuri, la notti s’apri e lu jornu si chiuri. Una alla volta spuntano tutte le stelle e il faro si accende e, se ti metti a cavallo della luce passi il mare e arrivi in Africa. Io che campo all’acqua e al vento ci credo che un jornu giudica all’avutri e l’ultimo giudica a tutti, perché semo tutti ‘nsunnati, campiamo con la testa nell’aria e se casca il cielo non ce ne accorgiamo. Ma forse questo vogliono quelli che comandano, che dormiamo un sogno che duri tutta la vita; si scantanu che sennò…altri Vespri e altre rivoluzioni. E’ destino campari come auceddi e morriri comu passarieddi, senza che nessuno si ni adduna.
Nessun commento:
Posta un commento
La moderazione è stata eliminata , ciò significa che lascio passare qualsiasi cosa anche se non corrisponde al mio pensiero.