Gli anni ufficialmente perduti tornano in segreto per la malinconia di averli vissuti
sabato 8 febbraio 2025
CONTINUO
Quella sera sei tornata a casa con me, gioco aperto e, incredibilmente, mi sono comportato con gradevole simpatia, nemmeno una parola fuori posto o un gesto di troppo; quando un attimo prima di entrare nel portone mi hai baciato sulla guancia e mi hai sorriso ero ormai finito. Stasera è la stessa cosa ma non devo guardarti in viso: - Non durerà! - è la frase scritta dentro i tuoi occhi un attimo dopo il rush finale. Non è vero, non importa, ci siamo ci siamo stati, quell’amore è nostro, solo nostro Giulia, l’universo stanotte ci ha già portato via.
Il blog è lì, mi rappresenta, non posso disquisire io sulla mia letteratura, sulla sua effettiva validità. Io quando scrivo sono fuori da tutto, non scrivo per nessuno in particolare apro il cuore e l’intelletto e mi lascio andare. Scrivere è la mia libertà non la baratterò con niente altro al mondo vorrei fosse anche quella di chi mi legge nell’attimo perenne dello sguardo che passa sulle parole. Ero così già a dieci anni, solo mia madre lo aveva capito, a lei riusciva facile seguire il filo che si dipanava dai miei occhi di bambino alla grande libreria di casa.
Si nasce aperti ma si può morire chiusi, molti preferiscono darsi un’apparenza di apertura posticcia che incredibilmente funziona in società, nel web ancora meglio perché si canta la stessa canzone di felicità tutti assieme, tutti meravigliosamente ipnotizzati e falsi. Io non ho niente da insegnare a nessuno, sono un solitario senza speranza che ha avuto la felicità fra le mani per un breve istante molto tempo fa e non lo ha mai dimenticato per sopravvivere anche alla mediocrità di se stesso. Il mio scrivere fa parte di tale modo di vivere ma il prezzo pagato, in tutti i sensi, è altissimo.
Ho amato profondamente.
Ho scritto dell'amore incontrato.
Ho sofferto come un cane una solitudine tremenda per decenni.
Che io sappia mettere nero su bianco qualcosa che sfiori la magia dell'amore e dell'innamoramento non mi ha mai aiutato.
Io morirò da solo con tutte le mie lettere appiccicate addosso, esse sono il monumento al mio fallimento esistenziale.
E so quel che dico, adesso più di prima.
La scrittura a differenza della parola orale ha una dignità superiore, va meditata da chi la offre e da chi ne usufruisce: se lo fai con onestà puoi pretendere rispetto altrimenti ti equipari quella ridicola letteratura da social usa e getta, buona solo per litigare e insultare... esattamente ciò che vediamo ogni giorno. In questo un blog può dare qualche soddisfazione in più ma pretende misura, cultura, intuizione e ascolto. Merce diventata rara.
Quando il senso di vuoto e d’inutilità diventa insopportabile, quando giro a vuoto come in queste ultime settimane, allora decido di andare al mare, anche se il mare è sempre lì tutto l’anno. Ma adesso che l’autunno è arrivato appare diverso, come se volesse scuotermi da questa ruggine che infetta lo scorrere del tempo e mi immobilizza ed io mi sento toccato, affascinato dalla sua libertà e dalla sua sfacciata indecenza, ho quasi una sensazione di rabbia e d’invidia. Vorrei seguirlo, cambiare natura e invece resto lì, in bilico, sospeso e perduto da quel fluire senza direzioni e la mia inquietudine si addensa.
Una teoria lunghissima durata decenni ed ora la solitudine si è impossessata di te, crede di essersi presa tutto, lo pensano tutti e la ragazza lontana che non si ricordava più di se stessa fa finta di crederci allo stesso modo. Nascondersi agli assassini dei sogni segreti è l’unico mezzo per sopravvivere. Almeno un po’.
Il potere, inteso come ideologia dominante del periodo è sempre esistito ovunque e in qualsiasi contesto espressivo e, devo tristemente dire, che gli artisti ne sono malati da sempre. Le accademie in senso concettuale le ritrovi ovunque, a dx a sn, al centro, in basso in alto di lato davanti e dietro. Fanno comodo, proteggono, danno audience e regalano una pigrizia intellettuale micidiale. Spesso contagiano anche l'aspetto sintattico e linguistico del discorso, segno evidente che i nuovi scrittori leggono poco e male, la scrittura decente nasce dalla lettura senza gabbie ideologiche e da una libertà interiore mal sopportata dagli ambienti di riferimento.
Però in certe mattine silenziose e assenti come questa, quando apro la mia pagina mi sento pulito; non devo dire a nessuno da dove vengo e dove mi dirigo. Quello che ho scritto mi sta davanti ed io lo guardo con grande serenità. Svaniscono le discussioni, le incomprensioni, gli asti, resto io solo e pulito, senza alcuna altra specificazione. Enzo, così com'è.
Quando accade di buttar giù qualcosa di nuovo è sempre a a causa di un evento eccezionale, di un interlocutore particolare.. in quel caso invece di scrivere un post personale mio scrivo un commento o una risposta. Tutto resta per fortuna confinato in un grande riserbo senza strilli, polemiche sciocche, sottintesi pruriginosi e minchiate di questo tipo. Tutto somiglia di più ad un libro e al cartaceo da cui naturalmente sono nato.
Non credo esistano posizioni e ideologie sempre e comunque confrontabili, non è mai successo nella storia dell'umanità che questo accadesse, se sei convinto se hai analizzato, se hai cercato una misura fatalmente incontri qui qualcuno che agisce in modo diametralmente opposto. Non si tratta di scindere " le due facoltà" di castrarne una a favore dell'altra, di glissare su alcune posizioni e appoggiarne altre ( magari falsamente pur di non perdere alcuni contatti); si tratta di dover ammettere che l'uomo non è capace di leggere se non quello che vuole leggere, che non è capace di riflettere in silenzio su realtà lontane da sè e tutto ciò infine ti esaurisce.
Parlerò d’amore anche stasera. Per non sapere fare altro. Parlandone mi avvicino a stringere quella sensazione, mi avvicino e mi fermo sul limitare di un totale dispiegamento. Oltre non è concesso a nessuno andare, oltre le colonne d’Ercole c’è l’infinito dramma del non ritorno, della vita senza un perchè.
In fondo vivo di sorprese: stare sul web è una di queste. constatarne i limiti un’altra, rendersi conto che la volgarità è da ogni parte intorno a noi, e che ogni giorno, inevitabilmente, soffochiamo nell’imbecillità diventa infine l’inevitabile conclusione. Io faccio parte di questa comune sconfitta, che la dichiari in buon italiano e serenamente non ne cambia i connotati, mi rende solo più ridicolo.
Il pensiero di quella sera se ne andò verso sud: credeva di trovare il suo ultimo approdo là dove aveva sognato una vita diversa per l’ultima volta. Trovò solo altro mare e un piccolo gruppo di amici a salutarlo per il suo prossimo viaggio. Aleggia da quelle parti, mi aspetta lì, sa che arriverò e ce ne andremo assieme, io lui e i nostri sogni, così come siamo nati.
Non è il Gattopardo un libro educativo nel senso comune della parola. Fra le pieghe di antiche stanze, di mai sopiti ardori erotici, di eterne mediocri scappatoie che conducono a democratiche scelte popolari, di lunghissimi silenzi bruciati dal sole dei latifondi resta infine la consapevolezza che tutto e tutti, leoni e iene, generali e colonnelli, principi e campieri, coloro che sempre si considerano " il sale del mondo" tutti infine trovano pace in un mucchietto di polvere livida sotto lo sguardo senza emozioni di Concetta Corbera. Sarà lei l'unica protagonista nascosta di una Sicilia troppo stratificata e complessa per essere definita?
La sintassi, la storia e la lingua definiscono, esaltano in alcuni casi, la letteratura ma l'eccezionalità nasce da un parto imprevedibile; in Sicilia è necessario aggiungervi una buona dose di elitarieta'. Il Gattopardo è un monumento solitario, niente prima e assolutamente niente dopo, per un lungo tempo.
La condivisione pubblica del proprio mondo intellettuale e di altre cose ancora non è obbligatoria, necessita di interlocutori che possiedano misura e conoscano gli spartiti, il tempo mi ha insegnato che è cosa rara. Tuttavia l'intima, leggiadra felicità di comunicare al mondo che siamo vivi e pensanti è innegabile, non farlo o non poterlo fare o, peggio, non volerlo più fare è un passo avanti verso la fine. La solitudine e la malinconia di viverla così può guarire o essere in parte addolcita da un brano musicale o un testo? A me accade che la scrittura mi liberi, è essenziale, oggi importa molto meno di prima che sia compresa e condivisa, questa è la grande differenza tra la mia vecchia generazione e quella odierna. Io ho scritto, se non comunico, se non entro, se non possiedo il modo adeguato in questa parte di mondo virtuale devo rassegnarmi. Ho scritto ugualmente e tanto mi basta. Credo che il gesto del mettere nero su bianco abbia una sua intrinseca dignità e rappresentatività al di là della sua fruizione virtuale ( mi consolo così). Negli anni tra il 2012 e il 2017 mentre cercavo di sistemare i post originali di omologazione e disperdevo le mie residue energie in rete, ho anche organizzato un blog con quasi 200 post. Poi come al solito l'ho lasciato in sospeso andandolo a guardare di tanto in tanto, mi piaceva. Niente di particolare, niente di nuovo, i post erano anche in questo caso assemblati cucendo assieme i miei testi secondo gli umori di quel particolare momento. Era un gesto di sfida verso chi mi aveva bistrattato, umiliato e deriso, non era certo uno spirito di serena condivisione. Così oscurai il tutto. La solitudine fa anche questo, isola dal resto, ti dà l'impressione che tu non sarai mai più in sintonia con niente, che resterai chiuso dentro la tua bolla, che qualunque cosa tu scriva rimbalzerà frantumandosi in mille schegge sulle pareti della gabbia in cui sei prigioniero. Non ho ricette amica mia, ho solo un archivio di errori e tentativi nei cassetti, un centinaio di emozioni sospese e un gran numero di dubbi irrisolti.
Nei blog la prosopopea si vende a prezzi di realizzo ed è fomentata da apprezzamenti continui sulla bellezza delle reciproche scritture, non credo che mi contesterai ciò. I grandissimi scrittori leggono il vocabolario solo per migliorare la terminologia qualora ne avessero bisogno, per il resto saper scrivere è fondamentalmente un dono, coltivabile però.
Rimescolare le carte in ossequio a tendenze e ideologie imposte da una pseudo cultura da web pilotate da un europeismo a senso unico non fa per me. Non mi piacciono coloro che dopo decenni di lotta per la laicità dello Stato e dei cittadini, dopo prese di posizione durissime nei confronti del Vaticano e della idea cristiana di società, dopo anni di scrittura sulla liberazione femminile, non alzano un dito, non scrivono un rigo non cantano una canzone contro il mondo islamico ma invece scrivono in rete felici e beati del suicidio intellettuale verso cui stanno precipitando. O sono pazzi o sono ipocriti: li disprezzo in entrambi i casi.
Il bisogno dell'anima, il desiderio e lo stimolo fisiologico a mettere nero su bianco è insito in me da ragazzino, sono sempre stato cosi' ma se non fosse esistito il web con la sua esposizione pubblica così chiassosa io avrei scritto su carta per i fatti miei e tutto sarebbe stato portato su un altro piano. Qui non è possibile, non per me. Io credevo di aver trovato, sì lo credevo ma c'erano gli altri assetati di sangue, pronti a imporre la loro via, il loro senso, le loro dinamiche e a stravolgere la mia. Deluso? Delusissimo
Le mie pagine sono lì, saranno così fino a quando il potere elettronico lo permetterà. Non so chi le legga, non so più nulla, ho inserito la moderazione, poi l'ho eliminata, ogni tanto costruisco una nuova colonna sonora (è il mio unico diletto), cerco immagini, vi leggo e scappo via lontanissimo a implorare il mio sogno di non abbandonarmi per sempre, gli giuro che scriverò ancora di lui, sciorino progetti e spargo in giro fogli appena accennati. Lui mi guarda silenzioso poi mi dice che è tutto pronto, che il mio testo l'ho scritto in un tempo lontanissimo e estraneo a questo e che c'è una donna che lo conserva. Appartiene a lei.
Le righe scritte o riscritte sono il riflesso di un concetto esistenziale che non prevede l’età ma la surclassa, ci gioca e pensa scioccamente di averla fatta fessa. Però dentro la mia vita “mentale” il concetto di errore è diverso e ha ragione chi dice che spesso amiamo le cose che apparentemente disdegniamo secondo la logica corrente; forse è solo il tentativo di nasconderle o proteggerle dai poliziotti dell’altra vita, quella in cui siamo debitori di qualcosa a qualcuno.
Il mio tempo è finito, quello vissuto qui a metà strada fra il virtuale e il reale, questo che state leggendo. Resta la scrittura, per ciò che vale essa testimonia la mia vita e tutto quello che ha racchiuso nei miei anni terreni.
Scriviamo come aggrappandoci agli scogli in un mare tempestoso. I baci e le bocche col loro alito di vita ci passano davanti. TUTTE.
Quelli che mancano all’appello stanno defilati: sanno che verrà il loro tempo, che la loro assenza grida più forte di tutte. Li vuoi Sara? Ne sei sicura? Con essi verrà anche la fine, quella di questa dimensione vitale, l’unica su cui abbiamo messo le mani in attesa delle altre solo intraviste tra un rigo e l’altro.
Vuoi veramente correre loro incontro uomo? Io no. Io aspetto qui senza fretta ho già congedato malamente gli ambasciatori della grande sovrana… penso che me la farà pagare.
Sono figlio della borghesia colta palermitana, cresciuto a pane e letteratura, ad urla e silenzi, a scirocco e nebbie lombarde, a Mozart e beat generation: per lungo tempo ho creduto che fosse possibile vivere tutte queste sinapsi senza strappare la tela della mia vita. E’ una menzogna.
Credeva di averne di più, a dir la verità non lo aveva mai considerato: il suo tempo nel tempo che viveva giorno dopo giorno. Pur avendolo riempito di un'infinità di cose inutili e lunghe, anche sacrificandolo ad una quantità di altri tempi diversi per fogge e prospettive, pensava di averne davanti ancora una misura praticamente infinita.
Non chiuderò del tutto le porte alla mia espressività virtuale, cancellare definitivamente ciò che si è scritto con passione e attenzione significa uccidere l’autore di quelle parole, in questo caso un suicidio. Mi piace pensare, diversamente, che una riga sopravviva al suo autore… a volte penso che mi piace anche l’idea che qualcuno se ne appropri e la faccia sua e anche questo è fuori dalle regole e dal galateo della blogosfera ma è un concetto difficile e pericoloso da definire
Quando arriva puntuale la sera io sfioro le superfici dei miei pensieri ad occhi chiusi per riconoscerli al tatto, per sentirli fluire, riconoscermi in essi e capire dove li ho traditi; non esiste palcoscenico adeguato a questo dietro le quinte, solo sussurri che giungono deformati dall’attesa e dal bisogno.
Francamente credo che il cammino sia segnato e in fondo non mi dispiace, scrivo e mi incazzo mille volte al giorno, ho un nodo qui dentro che si scioglie solo così compulsivamente per un breve istante davanti alla fila ordinata di questi segni neri su fondo bianco.
Scriverò ancora, continuerò a farlo così come un vizio antico da cui non so liberarmi. Non è detto che risponda ai vostri messaggi… spesso non so cosa dire, perchè rispondendo a volte io perpetuo un rituale che rende risibile anche un’intuizione corretta: nascere è umano, perseverare è diabolico. Pare che io lo sia diventato.
Ero magro come un grissino, il viso pieno di lentiggini, rossiccio di pelo e gli occhi cerulei sempre un po’ persi altrove. Cominciavo a tenere la penna in mano e non sapevo dove mi avrebbe portato. Anche oggi immagino, sogno ad occhi aperti, poi scrivo, cerco di trasportare la metafisica sul fisico della pagina bianca. Immagino infine la vostra lettura e, in mancanza di commenti, questa operazione torna ad essere metafisica. Questa è la scrittura: un volo immaginario. Questo sono io, l’immagine di un racconto non terminato.
Ci fu un tempo lunghissimo in cui mi piaceva molto essere amabile, sapevo ritrovarmi in un attimo ed ero estremamente determinato nel mio progetto seduttivo. Ah, quanto duravano le mie stagioni, le estati infinite a divorare il sole e la luce e quanta crudeltà c’era nello scivolare tra le pieghe della carne e sentirsi in armonia sempre, senza mai un ripensamento che non fosse una nuova strategia, un’onda nuova che mi portava in cresta a mostrarmi il tuo corpo nudo e acceso.
Siamo finiti tutti e facciamo finta di niente: alcuni di noi continuano a rassettare il proprio universo, io tra loro, a cullare con gli occhi il segno del proprio peso sull’esistenza. Ma è tempo perso perchè ci aspetta il tempo nuovo, le nuove stagioni della nostra maturità assoluta che prenderà il posto di questa finta giovinezza disordinata e ci inchioderà al sapore perfetto di quello che siamo stati.
Al di qua di questo blog c’è una stanza abbastanza grande che vive in un’apparente quieta penombra. I mobili hanno tutto il sapore e il colore che solo un certo tempo può regalare loro, gli oggetti posati su di essi raccontano la mia vita: spesso sono un racconto anche per me che credo di conoscerli bene. Al di qua di questo grande paravento informatico i bites svaniscono, perdono dignità, resta solo la scrittura; il nero su bianco scorre per me immutabile e vivo, mi prende quando sto per cedere all’accidia di vivere senza un senso, mi ama anche se io ho detto in giro di non amarlo più.
Io non ho più nulla da scrivere se non la mia scostante estraneità a molti pseudoconcetti cresciuti con l’erba della bassa e annaffiati dalle acque di un possibilismo sconsiderato. Non c’è alcuna alternativa miei lontani bloggers, torneremo alle città e alle valli sospettose l’una dell’altra e coltiveremo i dialetti perché non abbiamo saputo possedere la lingua tramandataci dalla nostra storia culturale.
Ho letto molte cose in giro e la gran parte erano surrogati: chi scriveva imbrogliava e chi leggeva sapeva di essere imbrogliato e continuava per via dello share, l’audience, il pubblico, la gente. NOI. Stavolta ti scrivo per me, solo per me, ti scrivo per dirti che devi farmi innamorare di nuovo. Che non ne posso più di inutili desideri e altrettanto inutili coiti. Fammi innamorare, una sberla in pieno viso che poi stai lì mezzora a pensarci e a chiederti perche’,come?
Queste pagine sono state progettate per vivere in rete in modo autonomo: questo significa fuori dalle intemperanze di chi legge ma anche di chi le ha progettate. Troppe volte ho pensato di cancellarle, altrettante ho eliminato intere serie di articoli mai più recuperabili; i vostri commenti spesso hanno fatto l'identica ingloriosa fine. Non sono un soggetto da blog, non mi identifico nelle maggioranza delle vostre scelte intellettuali e sociali. Non ne sono capace. Però so con certezza che a queste condizioni, senza quello che voi chiamate "confronto" ma che io chiamo in altro modo, un luogo simile finisce come blog e diventa un'altra cosa. Trovategli voi un nome.
La mia amica lo sa: cerchi l’armonia che hai sentito una volta e la insegui per una vita intera…quando infine ti accorgi di essere solo in tutto questo può essere normale pensare di lasciare cadere le braccia. Sono fragile, non lo nascondo, il senso d’inutilità per gente come me è sempre in agguato. Il blog è aperto, il blog è un’altra dimensione e necessita probabilmente di un approccio diverso…sinceramente mi sento “forzato”. Io ho, per fortuna, l’età in cui molte cose perdono la loro connotazione mediocremente ideologica e acquistano invece una valenza pìù elevata e segreta. Di essa scrivo come posso, ad essa guardo come ad una liberazione.
Trovare qualcosa per riempire il vuoto che riapriva scenari così lontani da non considerarli più personali, ecco cosa doveva fare assolutamente. Il vuoto si allargava e lui lo guardava immobile. Scrivere! Scrivere era la terapia giusta: lo aveva pensato quasi per sbaglio, non ci credeva fino in fondo. Scriveva da sempre senza pensarci, come un gesto fisiologico, solo un aspetto dell'omeostasi più vasta che governava la sua vita.
E’ proprio uscendo da questa mia dimensione di blogger che avverto la caduta. Dentro queste stanze familiari che conosco a menadito, dentro questo riflesso immutabile e senza età non vivo conflitti dannosi o insormontabili. Da fuori la percezione dell'inutilità del tutto combatte ogni giorno con la necessità e la bellezza dell'esistenza e ogni tanto si esce sconfitti. Scriverlo è esorcizzare il pericolo e la morte.
Ho sempre scritto, fin da bambino ai tempi delle elementari, quelle del grembiule nero e il fiocco azzurro; scrivevo per istinto naturale non per un vezzo costruito o amplificato, scrivere era il mio mondo e anche la mia oasi, la scrittura mi veniva così, fluiva sotto lo sguardo attento di mia madre. La professoressa del Liceo osservava con un misto di piacere e apprensione tutto questo, non influiva per nulla ma leggeva poi tutto scuotendo di tanto in tanto la testa. Mia madre insegnava lettere e filosofia, mio padre matematica e materie commerciali, io avevo la casa piena di libri e probabilmente è stata la lettura a portarmi precocemente alla scrittura; credo che alcuni libri siano giunti troppo presto, ai 13 14 anni avrei dovuto dedicarmi di più ai fumetti e al pallone come i miei coetanei che dell'Italia conoscevano solo la pianura e al massimo il Ticino. Io comunque scrivevo, carta e penna, taccuini e agende, cose così perchè i tempi erano quelli e mi stava benissimo.
Ho smesso di scrivere in rete Ness, tutti i blog aperti e visibili hanno un filtro strettissimo oppure sono "dedicati" a pochissime persone: non è questo il modo di fare blog, lo so, lo sai. Quando accade di buttar giù qualcosa di nuovo è sempre a a causa di un evento eccezionale, di un interlocutore particolare.. in quel caso invece di scrivere un post personale mio scrivo un commento o una risposta. Tutto resta per fortuna confinato in un grande riserbo senza strilli, polemiche sciocche, sottintesi pruriginosi e minchiate di questo tipo. Tutto somiglia di più ad un libro e al cartaceo da cui naturalmente sono nato.
I linguaggi corporei sono diversi vivaddio, i flussi ormonali anche, le dinamiche mentali a volte viaggiano a distanze stellari, tuttavia l'universo ci comprende tutti, la distanza in questa logica non conta e se non ci fosse non ci sarebbe vita. Dobbiamo considerarlo sempre e per sempre: è una sfida, una guerra, una ricerca inutile, una battaglia persa? E' una curva affascinante la cui risposta non avremo mai. Ma possiamo scriverne uomini e donne e questo è veramente il segreto.
Io quando dopo altre vite sono tornato al campo lungo e ho lasciato da parte lo zoom ho visto un’altra immagine: ho visto che l’amore comunque mi sorrideva bellissimo e ingiusto nella sua dimensione aliena al tempo e alle mode. In campo lungo l’amore non finisce mai, è come se ci fosse sempre stato ed io nuoto dentro il mare in cui mi tuffai tanto tempo fa cosciente che vi annegherò, consapevole, dentro.
Io non ho voluto niente, ho seguito il mio istinto, la mia natura che mi ha condotto a te. Spero solo che la scrittura almeno con te mi salvi dal caos in cui rischio di precipitare. E certamente sono molto più fragile di ieri, prima avevo ancora un minimo di buona fiducia nel tempo semplicemente perchè c'era ancora tempo! Ora non più, ora sono in una gabbia stretta, restarci dentro per sopravvivere stancamente oppure rompere le sbarre e andare a morire altrove. La solitudine resterebbe la stessa. Perchè non esiste una connessione diretta e immediata tra la mia testa e la mia mano che scrive, qualcosa su cui tu poggiandoci sopra il viso possa sentire tutto, proprio tutto. Ti invio una musica, la canzone che sto ascoltando ora, il sentimento di adesso. Domani è troppo oltre, domani non esiste più da anni.
Mai detto che scrivere sia facile: è assai complicato, in alcuni casi ti impone scelte di fondo che possono isolarti dal consesso umano che frequenti. Siamo esseri fragili, il gruppo ci difende, ci serve, ci ipnotizza, ci blandisce...in fondo molti di noi pensano perchè andare controcorrente? Perchè dare voce alla nostra idea intima per infilarci in discussioni spinose, perchè rinunciare alle carezzine dell'ego che in fondo ci fanno un gran bene? Per diventare conformi alla nostra solitudine intellettuale di cui non frega niente a nessuno? Molto meglio glissare, tenere per noi stessi le nostre verità profonde, meno che mai scriverle pubblicamente se sappiamo che non coincidono con quelle in uso nei salotti che frequentiamo, molto più comodo metterci una maschera e continuare a recitare una parte che conosciamo bene.
Dietro la delusione e l’agitarsi di questa sciocca apparenza a me è rimasta una quiete profonda, quella di certe sospensioni notturne adesso che la sera allungandosi regala più tempo per riconsiderarmi. Lo so che probabilmente state valutando queste parole come la quintessenza di un estetismo inutile e barocco ma non m’importa più. Capire, capirsi, mischiarsi, amarsi…dire finalmente. E dire basta senza nessuna specificazione perché una stagione è finita e le prossime saranno di altri ma non più mie.
Ho sogni, sogni bellissimi e vasti come il mare, talmente perfetti da lasciarti sbigottito. In fondo vivo di sorprese: stare sul web è una di queste. constatarne i limiti un’altra, rendersi conto che la volgarità è da ogni parte intorno a noi, e che ogni giorno, inevitabilmente, soffochiamo nell’imbecillità diventa infine l’inevitabile conclusione. Io faccio parte di questa comune sconfitta, che la dichiari in buon italiano e serenamente non ne cambia i connotati, mi rende solo più ridicolo.
La nostra vita inciampa quando ne incontra un'altra pregnante all'improvviso. E te ne rendi conto subito. La caduta è un abbandono magico all'inizio, può diventare una frattura insanabile dopo. In ogni caso non la potrai dimenticare. Il caso dirige il tutto ma esistono anche margini di intervento personali: puoi usarli o farti trasportare dagli eventi ma non esiste modo di conoscerne l'epilogo ( per fortuna). Il filo rosso di cui parliamo esiste, non tutti lo afferrano... Molti lo temono... Altri preferiscono viverci ai margini. Ma il filo se lo prendi dà sempre un senso vero all'esistenza. Non c'è un do ut des in questi casi, c'è solo un'esaltazione, un rammarico, un feroce ricordo, un segno indelebile con il quale fare i conti, l'anima che fugge ti strappa comunque una parte di te... Non potrebbe essere altrimenti ma siamo veramente disposti a farne a meno a priori? Questa è la mia esperienza e ad essa debbo ciò che sono.
Non so perché scrivo: mi sono inventato tante ragioni ma erano altri giorni. Questa notte non posso e non so. Il narcisismo non basta, la cultura non serve, restano solo i desideri ma sono contorti e senza parole: situazione paradossale, ho un bisogno disperato di parole ed esse si annullano ma mano che nascono. Cerchi l’armonia che hai sentito una volta e la insegui per una vita intera...quando infine ti accorgi di essere solo in tutto questo può essere normale pensare di lasciare cadere le braccia. Sono fragile, non lo nascondo, il senso d’inutilità per gente come me è sempre in agguato. Sono anche un peccatore, l’orgoglio è la mia malattia ed è una malattia grave. Cosa intendo fare? Niente, voglio anzi accentuare la separazione tra quello che ritengo di essere e quello che viene interpretato di me: non sono buono, non sono disponibile e sono meridionale. Mi piace esserlo nella misura in cui mi viene rinfacciato esserlo.
Ho sempre considerato la scrittura il viatico verso una sorta di eternità personale, un modo per restare anche dopo fuori dai contesti quotidiani in cui ci agitiamo. Ho anche immaginato che più di 10 anni siano un lasso temporale, virtualmente parlando, così grande da ripulire chi ha scritto dalle innumerevoli sciocche questioni che lo hanno ossessionato prima. Detto in altro modo vorrei che il web si dimenticasse di me! Vorrei anche che si dimenticasse di voi, almeno di alcuni di voi, perché a questo ambiente e a quest'uomo niente avete dato se non mediocrità e fastidi.
Dovessi giudicare da quello che leggo sui giornali e nel web dovrei dire che l’ignoranza e una parte di analfabetismo è ubiquitariamente diffuso su tutto il territorio nazionale...e mi fermerei lì perchè i luoghi comuni non meritano altri onori secondo me.
La libertà di lettura avrebbe un valore maggiore se fossero presenti due componenti fondamentali: varietà di opinioni e misura e civiltà nell'esporle. Mi pare che siamo lontani da questo obiettivo, i social nel loro insieme hanno aggravato il problema invece di mitigarlo. Penso che la misura civile cui io faccio riferimento sia finora possibile solo sul cartaceo e non in modo assoluto. Ti chiedi dove siamo finiti? Sei sul blog di un uomo che ha passato i 70 anni e che scrive in rete da 20 anni, prima scribacchiava su blog notes e pensa seriamente di tornare a quella dimensione. Che il termine libertà sia da sempre abusato, mistificato, usato in modo improprio è sotto gli occhi di tutti ma io sono stanco, stanchissimo di discussioni, le lascio ad altri e mi tengo questi testi frutto di anni di vita mentale.
La storia e gli avvenimenti, anche i più recenti, le marce, i discorsi, le dichiarazioni accese e gli applausi virtuali...tutto indica che difendiamo la memoria perchè non ne abbiamo. L'umanità produce da sempre le ideologie che affermano che ci sono gli uomini e i non uomini: il passo seguente è Auschwitz. Ogni volta che stabiliamo livelli, che difendiamo prerogative, che diciamo che l'altro è troppo stronzo per vivere diciamo anche che in fondo può morire. Ed egli comincia a morire. Ci sono giornate della memoria che ci fanno dimenticare chi siamo e COME SIAMO. Verrà il tempo in cui anche queste giornate scompariranno, inutili come rottami polverosi; al loro posto nuovi editti di libertà e furore, di umanità e sangue, di democratici lager e immemori aguzzini.
Tutte le strade che prevedano unioni tra persone dello stesso sesso, diffusione di tali pratiche ponendole sullo stesso piano di quelle eterosessuali, annullamento del concetto di identità paterna e materna, gravidanze surrogate, compravendita di seme e di ovuli le ritengo nella migliore delle ipotesi aberranti. Chi per sua indole è attratto dal suo medesimo sesso non va giudicato, annientato o criminalizzato; gli si devono dare garanzie di vita civile ed economica corrette. Non gli si deve negare una vita di coppia e di relazione, non gli si può proibire di ereditare o lasciare eredità, di poter godere di aiuti pensionistici dal compagno/a, non è giusto insomma metterlo all'indice e pensare di poter penetrare nel suo immaginario erotico. Ma non lo si può considerare adeguato a costruire famiglia, a educare figli in un contesto omosessuale quotidiano. Non si può con superficialità considerare normale o addirittura dovuta una gravidanza surrogata, l'uso del corpo femminile come un'incubatrice noleggiata, il prodotto del concepimento come un'operazione di marketing o la scelta di un'auto come in una concessionaria dove si decide il colore e la tappezzeria dell'acquisto. Chi per decenni ha lottato duramente per la liberazione femminile non può pensare di fare passare tali pratiche per qualcosa di diverso da mercimonio o prostituzione di altissimo rango. Questo, esattamente questo è contro natura e contrario alle mie opinioni.
Ho amato profondamente. Ho scritto dell'amore incontrato. Ho sofferto come un cane una solitudine tremenda per decenni. Che io sappia mettere nero su bianco qualcosa che sfiori la magia dell'amore e dell'innamoramento non mi ha mai aiutato. Io morirò da solo con tutte le mie lettere appiccicate addosso, esse sono il monumento al mio fallimento esistenziale. E so quel che dico, adesso più di prima.
Amica mia se esiste per te esiste per noi, è più che sufficiente. La condivisione pubblica del proprio mondo intellettuale e di altre cose ancora non è obbligatoria, necessita di interlocutori che possiedano misura e conoscano gli spartiti, il tempo mi ha insegnato che è cosa rara. Tuttavia l'intima, leggiadra felicità di comunicare al mondo che siamo vivi e pensanti è innegabile, non farlo o non poterlo fare o, peggio, non volerlo più fare è un passo avanti verso la fine. La solitudine e la malinconia di viverla così può guarire o essere in parte addolcita da un brano musicale o un testo? A me accade che la scrittura mi liberi, è essenziale, oggi importa molto meno di prima che sia compresa e condivisa, questa è la grande differenza tra la mia vecchia generazione e quella odierna
La solitudine fa anche questo, isola dal resto, ti dà l'impressione che tu non sarai mai più in sintonia con niente, che resterai chiuso dentro la tua bolla, che qualunque cosa tu scriva rimbalzerà frantumandosi in mille schegge sulle pareti della gabbia in cui sei prigioniero. Non ho ricette amica mia, ho solo un archivio di errori e tentativi nei cassetti, un centinaio di emozioni sospese e un gran numero di dubbi irrisolti.
A me accade che la scrittura mi liberi, è essenziale, oggi importa molto meno di prima che sia compresa e condivisa, questa è la grande differenza tra la mia vecchia generazione e quella odierna. Io ho scritto, se non comunico, se non entro, se non possiedo il modo adeguato in questa parte di mondo virtuale devo rassegnarmi. Ho scritto ugualmente e tanto mi basta.
Non sono sparito, sto altrove: a due passi da qui dentro gli universi paralleli a questo mio. Leggo, certe volte mi fermo interessato altre passo avanti infastidito. E mi domando cosa accade quando qualcuno arriva qui da me.
PS. Tutte balle! Sono sparito.
I commenti sono un blog. Sono anche l’eternità del post quando esso merita di vivere. Però i commenti sono un gesto d’amore e l’amore è intellettualmente esclusivo nel momento in cui lo pensi, definitivo e terribile appena lo hai scritto. Quindi commentare seriamente è trasgressivo e induce la gente ad odiare il miracolo che si crea tra il post e quel commento.
Ti appoggi al legno della porta e aspetti che io t’insegni su quale mattonella dovrai trovare l’equilibrio. Il primo bacio sbarra ogni via di uscita e si oppone ogni volta alla mano dell’uomo che per primo ha scritto il suo verso su i tuoi seni. Ma oggi che siamo qui m’insegni ancora una volta come far aderire perfettamente le gambe agli angoli in cui le pareti si uniscono mentre con i corpi facciamo un vuoto piccolo seguendo gli unici confini che sappiamo certi e ne riempiamo la stanza sperando che ne resterà una traccia per ritrovarci.
Da soli il fluire ha un sapore particolare, diverso credo: da soli si pensa con più attenzione e molte cose improvvisamente appaiono diverse. Così diverse da sembrare nuove…o troppo vecchie. Vale anche per questa casa sull’acqua. Vale anche per voi che credete di sfuggire alla relatività della vita. Vale anche per tutti coloro che mi hanno frantumato le scatole in questi anni. Vale per ogni parola inutile lasciata a marcire sull’acqua del web. Vale per ogni sacrosanta verità che ci affanniamo a negare per idiozia congenita e reiterata.
Nessun rimpianto, la vita soltanto e l'amore o l'idea di esso, il profumo che chiunque lo abbia provato non dimenticherà perchè è una necessità senza do ut des, senza formalismi, senza età...solo io e quell'idea viva e terribile. Non voglio morire senza capire, senza alternative, senza altre possibilità che quella di schiantarmi sull’ennesima delusione. E’ stato così ed è stato, ma sarà anche stavolta per sempre: non ci sono altri interlocutori, non c’è bisogno di interpreti delicati e sensibili. Serve solo capirlo e dirlo, tutto il resto è banale analisi di ciò che è avvenuto e che non si ripeterà mai più identico.
Molti ormai in rete si sono via via convinti che scrivere scemenze ben vestite ed obbiettivamente ostiche e quindi in commentabili sia il preciso compito di un blogger “alternativo”. Non sarò io certamente a convincerli della stupidità e sterilità di tale convinzione: i Blog come mezzo di scambio e comunicazione avevano dei limiti intrinseci che adesso sono diventati palesi, può darsi che durino (incredibilmente) ancora qualche lustro oppure che implodano schiacciati dal loro stesso vuoto interiore. La comunicazione cercherà altre strade, le finte chat altri attori, i falsi scrittori nuovi editori. Solo l’amore continuerà a macerarci l’anima perché non troverà né pace né assoluzione.
Un nuovo capitolo e ritorno in cammino, molte cose mi sembrano secondarie, forse inutili. Non incidono, non cambiano, fra un po’ di tempo saranno posate su qualche scaffale della mia vita ed io, passandoci davanti, le guarderò e le rigirerò fra le mani come testimonianze di deja vu pieni di polvere.
I sogni si posano accanto al nostro comodino e ci guardano: dovrebbero spegnersi al risveglio ma non sempre sono benigni con noi e ci appesantiscono. Ci attraggono e ci mentono, ci riempiono di pause, sono piccoli fuochi che ci consumano, buchi ingannevoli dentro i quali cadiamo pensando così di proteggerci
–Sei la mia salvezza- ansimiamo e diciamo entrandoci e li riempiamo di tutte le nostre cose inutili: oggetti, interessi, rapporti umani stanchi e mediocri, parole ripetute e paure che fingiamo di non vedere. Cadiamo.
Nessuno di noi ha limiti, dovremmo una volta per tutte accettare la fantasia e i voli di tutti, solo i nostri pre-giudizi hanno creato questo insopportabile mondo virtuale più scemo e bigotto di quello reale. Incredibilmente stiamo mettendo malamente in pratica l’antico motto latino – Est modus in rebus- con modi prefabbricati e taroccati che delle cose non sanno nulla.
Credo che non siamo solo quel che si vede o si scrive, non finiamo qui e non siamo terminati col nostro termine organico: vorrei chiamarlo Dio ma l'entità religiosa ufficiale con la quale sono cresciuto me lo ha tenuto distante da almeno 20 anni a questa parte. Non è colpa del Signore ma di certe interpretazioni, non è colpa della Croce ma dei roghi accesi attorno ad essa dagli uomini di chiesa. Spesso è stato il Vaticano ad allontanarmi dalle manifestazioni pubbliche di fede.
Se fossi veramente solo tutto sarebbe più facile oltre che più triste ma sono dentro la vita con gli altri uomini, li sento frusciarmi accanto da tutti i lati: non li approvo, non li capisco o li capisco troppo bene, non amo molti di loro per la grande capacità che possiedono di sporcare e immiserire l'ambiente in cui vivono, Blog compresi. Ma il silenzio è divino, ammaliante e puro: un velo strappato davanti ai nostri occhi desiderosi di sapere. L’orologio sta girando in fretta, troppo in fretta, non è più il momento di stupide ripicche. Le ombre si stanno allungando, io con esse e finalmente non è più tempo di demoni, né di angeli. Fra poco sarà la fine del giorno e io voglio che la sera mi trovi ancora una volta, come sempre: aggrappato al cielo.
Al di qua di questo blog c’è una stanza abbastanza grande che vive in un’apparente quieta penombra. I mobili hanno tutto il sapore e il colore che solo un certo tempo può regalare loro, gli oggetti posati su di essi raccontano la mia vita: spesso sono un racconto anche per me che credo di conoscerli bene. Al di qua di questo grande paravento informatico i bites svaniscono, perdono dignità, resta solo la scrittura; il nero su bianco scorre per me immutabile e vivo, mi prende quando sto per cedere all’accidia di vivere senza un senso, mi ama anche se io ho detto in giro di non amarlo più.
Molto al di là del limite dell’orizzonte abbiamo deciso di tornare a riva, di festeggiare l’inverno e invocare in silenzio le onde del cuore. Tarderà il sole nel suo addio e noi balleremo ancora sulle luci riflesse il ritmo delle maree. Stanotte soltanto. Giulia sono trascorsi 29 anni oggi ma io non ho dimenticato.
Siamo una specie vivente di bassa qualità. Non fatevi ingannare dai discorsi celebrativi che i vari tipi di scimmie pronunciano tra loro senza nessun contradditorio: siamo una specie vivente mal fatta. Però abbiamo un grosso cervello, le sue dimensioni non sono eguagliate da nessun’altra specie su questo pianeta: un grosso e stupido cervello, una macchina che funziona bene, crea e immagina con grande potenza e poi improvvisamente si blocca, decade a livelli infimi e autodistruttivi. Forse il Creatore, se esiste, era distratto oppure si è stancato e ha lasciato lì la su invenzione per dedicarsi ad altro ma l’invenzione purtroppo ha vita autonoma, il Creatore l’ha voluta così con il libero arbitrio. Errore tremendo!
Ogni estate diventiamo maggiorenni ed è una sensazione indimenticabile, sgusciamo fra i nostri errori e le nostre vittorie, ce le rimiriamo e facciamo finta di credere che sia per sempre, condividerle con gli altri è una fede. L’estate è sempre l’identica rivelazione che sale sul palcoscenico con presentatori diversi, la sua apparizione suscita reazioni varie che vanno dagli applausi scroscianti all ’incredulità silenziosa, ma la sua bellezza è sempre maestosa, a me lascia ogni volta incantato, senza fiato. Nei suoi paesaggi aperti, nei suoi colori decisi e in quel senso di prospettive eterne e ripetute che ci fanno ritornare sempre all’idea che tutto è possibile, che è solo questione di tempo e i cieli si apriranno per lasciarci vedere l’azzurro e le mille strade che lo attraversano. Abbiamo di nuovo diciottanni e nessuno potrà cambiare le cose, è come il primo amore, se ne andrà ma cambierà la nostra vita per sempre.
Questa è una storia d'amore, ne ha tutte le caratteristiche e, come tale, vive in quella perenne sospensione di futuro e di giudizio che le è propria. Ho pensato molte volte in tutti questi anni a possibili varianti, alle decine di "sliding doors" che potevano aprirsi se... Infine sai cosa resta? Restiamo noi. L'infinita bellezza che si insinua almeno una volta dentro la vita di ognuno di noi: hai ragione io non potevo salvarti, sei stata tu a salvare me!
Amori perduti è un termine che mi piace tanto. Dentro l’amore quello vero c’è il senso di una perdita, di uno smarrimento profondo: se non ti perdi non è quel tipo di sentimento, può essere cento altre cose, tutte rispettabili, ma non quella cosa. Se ami sei perso per sempre, anche se tu poi non ami più o lei ti lascia, non conta. Conta il senso di una magia che non c’è più, che ti faceva fare e vivere in modo diverso.
La libertà di lettura avrebbe un valore maggiore se fossero presenti due componenti fondamentali: varietà di opinioni e misura e civiltà nell'esporle. Mi pare che siamo lontani da questo obiettivo, i social nel loro insieme hanno aggravato il problema invece di mitigarlo. Penso che la misura civile cui io faccio riferimento sia finora possibile solo sul cartaceo e non in modo assoluto. Ti chiedi dove siamo finiti? Sei sul blog di un uomo che ha passato i 70 anni e che scrive in rete da 20 anni, prima scribacchiava su blog notes e pensa seriamente di tornare a quella dimensione. Che il termine libertà sia da sempre abusato, mistificato, usato in modo improprio è sotto gli occhi di tutti ma io sono stanco, stanchissimo di discussioni, le lascio ad altri e mi tengo questi testi frutto di anni di vita mentale
Le donne sono una magia che di volta in volta molti di noi sciupano accontentandosi di mediocri spettacoli di prestigio: in verità temiamo il grande incantamento e il senso di perdizione che esso porta con sé. Così stupriamo invece di amare, limitiamo invece di liberare, ci comportiamo da maschi e abbiamo solo femmine mentre dovremmo essere uomini e confrontarci con le donne.
Ho disceso le scale fino agli inferi e adesso li guardo da vicino: mi chiamano con voce insistente, beffardi e sicuri della loro vittoria. Resti tu, ci sei tu, così senza nessun altro orpello dell'abito che avevi allora, completo e luminoso, la mia ragazza lontana, il mio sogno maledetto e irraggiungibile. Tutti questi anni trascorsi a guardare la tua vita senza di me, le nostre vite buttate nella spazzatura senza neanche un vero senso. Mi agito come un vecchio scemo, quel che sono, ti chiamo nell'unico modo che conosco, non lo definisco perchè le magie si possono solo assorbire. Mia madre me lo diceva - morirai con questo segno di inutilità addosso, almeno vestilo bene, nel miglior modo possibile- Ci sono riuscito? Serve a qualcosa? Guardo attorno a me, i miei giorni adesso corrono in fretta, ti parlo al telefono ma dovrei scriverti più spesso per dirti la verità...quella che tu conosci bene amore mio.
IL TEMPO OBLIQUO è il tempo con cui tutti giochiamo e che ci truffa ogni giorno che passa. Il tempo che in realtà non è mai stato nostro e che noi abitiamo credendo di essere altro che semplici comparse. Il mio tempo finito.
Il Sud inizia dagli antichi confini del Regno delle due Sicilie. Geograficamente, socialmente e storicamente da noi inizia da lì. Ma i meridioni sono tanti perchè il Sud è sottomissione, colonizzazione, mancanza voluta di infrastrutture ed è soprattutto rassegnazione, come tale ogni luogo del mondo può diventare sud di qualsiasi nord. Questo è un discorso, seppur importante, che non deve diventare la scappatoia per dimenticare il concreto del sud italiano: può arricchire e definire meglio il discorso, dargli un tenore più serio e ampio, pulirlo da quell'abito di sciocca commiserazione e rivalsa che spesso agita i discorsi di certi meridionalisti. La Storia e l'analisi della gestione politica di ogni meridione ha punti di contatto simili, ogni sfruttamento seppur ben vestito fa diventare un territorio Sud, che sia avvenuto nella penisola italiana nel 1860 o altrove non fa concettualmente alcuna differenza.
Però in certe mattine silenziose e assenti come questa, quando apro la mia pagina mi sento pulito; non devo dire a nessuno da dove vengo e dove mi dirigo. Quello che ho scritto mi sta davanti ed io lo guardo con grande serenità. Svaniscono le discussioni, le incomprensioni, gli asti, resto io solo e pulito, senza alcuna altra specificazione. Enzo, così com'è.
Io non bado alle lacrime che ora puliscono i tuoi occhi, mi avvicino fino a bruciare la mia anima dentro le mille pagliuzze delle tue iridi e ti bacio facendo sbattere i denti contro i tuoi. E abbiamo di nuovo 16 anni e dell’amore non sappiamo nulla e il sesso è l’unica cosa che vogliamo, l’unica che riusciamo a capire. Siamo tornati le rolling stones pericolose dell’altro ieri e mi metto a singhiozzare senza freni, senza tempo, senza pietà… voglio le altre tue labbra e disintegrarmi dentro il tuo utero.
Quella sera sei tornata a casa con me, gioco aperto e, incredibilmente, mi sono comportato con gradevole simpatia, nemmeno una parola fuori posto o un gesto di troppo; quando un attimo prima di entrare nel portone mi hai baciato sulla guancia e mi hai sorriso ero ormai finito. Stasera è la stessa cosa ma non devo guardarti in viso: - Non durerà! - è la frase scritta dentro i tuoi occhi un attimo dopo il rush finale. Non è vero, non importa, ci siamo ci siamo stati, quell’amore è nostro, solo nostro Giulia, l’universo stanotte ci ha già portato via.
È ricomparsa la tua
stella
Dopo un'attesa di nuvole
nel cielo di dicembre
Come antica consuetudine
ammonizione e ricordo
Di una strategia contro
La guerra che ci
attende ai confini
Ricredersi non è una cattiva cosa ma il quesito resta soprattutto in questo ambiente dove la relazione tra chi scrive e chi legge e commenta sembra sia fondamentale. Lo è, impossibile negarlo e così diventa scontata l'influenza che l'altro può esercitare su chi scrive ma io personalmente mi sono sempre comportato diversamente: l'ho ripetuto molte volte, scrivo per una forma di liberazione intima e personale, è sempre stato così, scrivo perchè l'espressione scritta riempie il mio immaginario mentale fin da ragazzino. Ovviamente entrato nel mondo dei social le cose sono rapidamente mutate: se scrivi sinceramente di te e del tuo mondo prima o poi arrivano le batoste, non le interlocuzioni, le batoste che lasciano basiti. Non credo esistano posizioni e ideologie sempre e comunque confrontabili, non è mai successo nella storia dell'umanità che questo accadesse, se sei convinto se hai analizzato, se hai cercato una misura fatalmente incontri qui qualcuno che agisce in modo diametralmente opposto. Non si tratta di scindere " le due facoltà" di castrarne una a favore dell'altra, di glissare su alcune posizioni e appoggiarne altre ( magari falsamente pur di non perdere alcuni contatti); si tratta di dover ammettere che l'uomo non è capace di leggere se non quello che vuole leggere, che non è capace di riflettere in silenzio su realtà lontane da sè e tutto ciò infine ti esaurisce. Se a tale condizione che direi fisiologica si aggiunge un'indole come la mia l'unica soluzione diventa tornare a scrivere come all'inizio, liberare il proprio mondo intellettuale, disinteressarsi dell'audience, dare un calcio al do ut des tipico del mondo dei blog e lasciare in rete questi articoli per il solo gusto di averli pensati e scritti. Io scrivo per me stesso se altri leggono non mi dispiace affatto ma gli interlocutori ormai li scelgo solo io.
Io quando scrivo sono fuori da tutto, non scrivo per nessuno in particolare apro il cuore e l’intelletto e mi lascio andare. Scrivere è la mia libertà non la baratterò con niente altro al mondo vorrei fosse anche quella di chi mi legge nell’attimo perenne dello sguardo che passa sulle parole. Ero così già a dieci anni, solo mia madre lo aveva capito, a lei riusciva facile seguire il filo che si dipanava dai miei occhi di bambino alla grande libreria di casa. Ho avuto questa sensazione con te, per questo ti scrivo, per questo provo un gran piacere pensando che tu mi leggi.
Quando il senso di vuoto e d’inutilità diventa insopportabile, quando giro a vuoto come in queste ultime settimane, allora decido di andare al mare, anche se il mare è sempre lì tutto l’anno. Ma adesso che l’autunno è arrivato appare diverso, come se volesse scuotermi da questa ruggine che infetta lo scorrere del tempo e mi immobilizza ed io mi sento toccato, affascinato dalla sua libertà e dalla sua sfacciata indecenza, ho quasi una sensazione di rabbia e d’invidia. Vorrei seguirlo, cambiare natura e invece resto lì, in bilico, sospeso e perduto da quel fluire senza direzioni e la mia inquietudine si addensa.
Di attentati al pensiero degno di essere chiamato tale in rete ne ho incontrati molti; certo in alcuni casi e in alcuni incontri devi possedere una "lingua" adeguata e, al contrario, se usi tale lingua ovunque, resti inevitabilmente isolato (uso un eufemismo). Ciò che scrivo vive anche della lettura di altri, altrimenti morirà con me: sono certo di questo e l'essere defilati non mi aiuta. So dalla mia età matura che più che la blogosfera e i social in generale mi si addice il silenzio, al suo interno una voce anonima come la tua risuona in modo smagliante. Mi fai un grande regalo, leggermi equivale a leggersi, è un canto all'eternità della parte migliore di noi stessi.
. Non è una scusa ma solo una constatazione, è un difetto costituzionale, inutile girarci attorno, non sono mai stato capace di indirizzare le mie forze, i miei istinti verso qualcosa di concreto, qualcosa che mi potesse salvare veramente dall'erosione esistenziale che già cominciava a sgretolarmi a 20 anni! Uno sciocco dalla sintassi esemplare! Un nullafacente dalla cultura esplosiva e dalla capacità fortissima di non tenere niente di solido tra le mani. Ti ho perso per questo e mentre accadeva, mentre vedevo sgretolarsi un sogno, stupidamente mi davo ragioni false, orgoglio, equivoci, mancanza di vero amore! Cercavo di fermare la morte dell'anima dandomi un contegno banale e inutile. La mia ragazza si allontanava ed io non sono stato capace di darle l'ultimo bacio, scendevo le scale come un ebete ipotizzando un futuro che non c'è mai stato. Ho provato decine di volte a trovare un interlocutore: alla fine devo accettare il verdetto: non mi ama nessuno, non mi parla nessuno, sono tutti alieni all'errore, tutti organizzati e organizzabili, nessuno ha tempo da perdere con Enzo.
L’isola all’inizio delimita, ti costringe a guardarti dentro come se tu non potessi sfuggire al tuo personale destino. Ma c’è il mare tutt’attorno e la sua vastità è un perenne invito a ulteriori scoperte, è uno stimolo potente a attraversare l’incognito per incontrare altri mondi e altre idee. Gli isolani però non di dimenticano mai le proprie radici, cercano il mondo perché ne hanno uno intimo dentro da regalare agli altri; è una malinconia difficile da spiegare, un bisogno di tornare, di rivedere la propria riva, quella che conosci nel profondo, quella cui infine appartieni. Siamo orgogliosi del nostro modo ma curiosi di quello altrui e poi c’è, come sempre, una grande componente culturale. Per uscire e attraversare il mare devi sforzarti di capire e conoscere e speri che lo stesso sforzo sia compiuto da chi incontri ma io ho avuto esperienze negative in tal senso. La penisola è storicamente e culturalmente frammentata e ostile a aperture culturali profonde, il sud è organizzato da secoli in modo diverso in tutti i sensi, le isole poi sono un mondo a parte: conoscerle, incontrarle e viverle davvero presuppone una elasticità da marinai.
Ungaretti a quattordici anni, quasi di nascosto chissà poi perchè. Ma dirlo ai ragazzi del pallone non era proprio il caso, io avevo una grande biblioteca a casa loro no e in più ero siciliano, dir loro di Ungaretti sarebbe stata l'occasione per alimentare un rancore subdolo che io non avrei saputo gestire. Negli anni a venire ci furono poi Pessoa, Emily Dickinson, Garcia Lorca, Neruda; attorno ai sedici diciassette anni causa innamoramento e società spuntarono Wystan Auden e Edgard Lee Master (complice un De Andrè favoloso). Non ha nessuna importanza dire qui di tutti gli altri ma ci sono stati e ci sono, forti e immanenti, la poesia mi ha trasfigurato l'anima e ancora oggi se leggo Montale o Sylvia Plath vado in luoghi di cui non ho mai scritto. Vorrei farlo, vorrei tanto che fosse questa la mia ultima fatica, il mio cerchio chiuso. Scrivere di poesie, riproporle e raccontare i loro autori perchè dicendo di loro finalmente parlerei di me in modo nuovo e più adeguato alla mia essenza. Vedete? Il blog è qui, terminato e placido, per certi versi lontano e definito.
C’è uno spazio aperto e, al di là di esso, altri territori che un giorno di molto tempo fa osservai da vicino: imparai che si trapassa da una stagione all’altra e che questo guscio che ho, cui sono così affezionato, dovrò lasciarlo per un altro e un altro ancora. Il bello è che per una inspiegabile magia ci scordiamo di essere esistiti in un certo modo appena entriamo in confidenza con la nuova situazione e quindi tutto ci appare vergine e misterioso. Ora no, ora sono ficcato dentro quest’abito da Enzo con i suoi pensieri e i suoi amori perduti, ora sono dentro questo blog che tra qualche istante sarà corroso dalla benevolenza, dalla curiosità o dal livore incoercibile di qualche passante.
Quel mobile era lì da tempo, nessuno ricordava più da quanto, nessuno sapeva nemmeno come ci era arrivato. L'armadio e tutto il resto abitavano quelle stanze da sempre apparentemente. Lui era tornato per riprendersi una cittadinanza che gli apparteneva; lo aveva capito una settimana prima mentre attraversava il silenzio di una vita e di una città straniera.
Il pensiero aveva iniziato a farsi strada lentamente tra un caffè e certe discussioni di lavoro...una sensazione sottile ma precisa, quella di un'ultima occasione e di una scelta definitiva. Quanti anni aveva usurato cercandosi nelle vite altrui? Quante volte aveva denudato l'anima, spogliata, estroflessa, posata lontano da sè credendo di averne poi maggiore consapevolezza? Errori, errori voluti in parte, traduzioni difficili a negare una realtà semplice: apparteneva ad altro, a una dimensione che nessuno voleva condividere e la solitudine profonda della sua vita nasceva da lì da quell'esercizio che lo aveva allontanato da quelle stanze e da quell'armadio.
Sarebbe stato amato ancora una volta? Così senza pregiudizi, con un'antica naturalezza che adesso sentiva scorrere nelle vene mentre si aggirava da solo in casa? Era cresciuto, fuori, era invecchiato e molte misure non corrispondevano più...le grucce con gli abiti appesi che un tempo sembravano troppo alte per un bambino adesso erano lì a portata di mano. Non era cresciuto aveva solo permesso che qualcosa, un altro tempo si sovrapponesse al suo primitivo, che ne cambiasse i connotati e gli proponesse nuove verità: succede più spesso di quanto si pensi, una vita sola non ci basta e le altre parallele confondono la vista in prospettiva lunga...c'è gente che ci muore così.
Aveva deciso la sera prima, di getto, una volontà grande, immanente, invincibile: tornare a riprendersi l'abito giusto che era suo dall'inizio, quello che nessun altro poteva indossare senza apparire una caricatura ridicola. Spalancando le ante dell'armadio non aveva previsto che ci fosse anche lei! Eppure avrebbe dovuto immaginarlo: non si è mai soli nell'unico amore che incontri nella vita, l'altro negato e perso, mal giudicato e mal vissuto si era soltanto messo da parte...in una attesa elementare e silenziosa. Ogni cosa si adattava a pennello, ogni gesto era risaputo, ogni frase nella misura esatta della sua origine mentale, non cerano equivoci, lo spazio intorno lo guardava quieto.
Adesso sapeva che avrebbe potuto iniziare a scrivere e se anche non ne avesse avuto tutto il tempo necessario lei avrebbe completato l'opera col suo medesimo sorriso.
Rispondere a tono alle vostre argomentazioni però è un piacere e non me privo. Credo che vi siano treni che passano una sola volta nella vita, in genere li perdiamo (io ne ho persi molti), in genere lo capiamo dopo quando tutto è inutile e resta solo il rimpianto. Tuttavia vivere si deve, cercare è vita, senza ricerca si è solo amebe senza senso. Se fate parte di quel gruppo di persone che non si arrendono alla comodità di vivere nella tendenza facile e condivisa di certa quotidianità: se si ha carattere si sceglie con quel carattere! La scelta isola? Non viene compresa? Spesso è così… si parla delle ragioni del cuore e ciò è vero ma funziona, solo se i cuori parlano lingue simili, dipende come sempre dagli interlocutori e dal loro grado di intuito (non dalla loro cultura in senso stretto). Si nasce aperti ma si può morire chiusi, molti preferiscono darsi un’apparenza di apertura posticcia che incredibilmente funziona in società, nel web ancora meglio perché si canta la stessa canzone di felicità tutti assieme, tutti meravigliosamente ipnotizzati e falsi.
Io non ho niente da insegnare a nessuno, sono un solitario senza speranza che ha avuto la felicità fra le mani per un breve istante molto tempo fa e non lo ha mai dimenticato per sopravvivere anche alla mediocrità di se stesso. Il mio scrivere fa parte di tale modo di vivere ma il prezzo pagato, in tutti i sensi, è altissimo. Vorrei fosse diverso per voi… Camilleri diceva “Pare fatta di un nulla la felicità. Come quelle farfalle che prendi per le ali e poi lasci andare e sulle dita ti resta una polvere d’oro. Attenzione, perché la felicità a volte vi è passata accanto e non ve ne siete accorti”. Se vi è capitato stringetela forte la vostra felicità e ricordatela per sempre, non ci resta poi molto altro.
C'è una differenza importante tra una pagina virtuale e una cartacea: il contatto in tempo reale! Su un blog ciò che scrivi e commenti può avere un riscontro immediato. Non sono sicuro che sia sempre e comunque un fatto positivo perché condiziona lo scrittore a umori veloci e continui. Non sono e non voglio essere un opinionista, tantomeno un guru o un qualsiasi maestro del pensiero, atteggiamenti che non mi appartengono e mi farebbero sentire ridicolo, il web e i media sono pieni di inutili, ignoranti zucche vuote. L'unica cosa che mi sento di dire che, qualunque sia il supporto, bisogna scrivere con sincerità e sempre al meglio delle proprie capacità. Si deve dare il massimo sintatticamente e come qualità di lingua. La scrittura a differenza della parola orale ha una dignità superiore, va meditata da chi la offre e da chi ne usufruisce: se lo fai con onestà puoi pretendere rispetto altrimenti ti equipari quella ridicola letteratura da social usa e getta, buona solo per litigare e insultare... esattamente ciò che vediamo ogni giorno. In questo un blog può dare qualche soddisfazione in più ma pretende misura, cultura, intuizione e ascolto. Merce diventata rara.
La stanza segreta è qui e adesso, è una storia iniziata molto tempo fa. E’ l’attimo in cui arrivi a quella comprensione che ti sfugge da sempre. E’ un legame profondo, irrinunciabile, uno scrivere e pensare da lontano con una vicinanza intellettuale rara. La stanza è un simulacro dell’illusione di poter condividere ma è anche la definitiva sconfitta di un sogno leggero e invidiabile. Era risaputo, era scontato che l’apertura della porta avrebbe portato con sé una sospensione infinita di questo spazio. La preda si libererà dall’amo con uno strattone e libererà finalmente anche me: un segno di affetto profondo. Io non ho rimpianti, stare qui mi è piaciuto davvero, condividere anche i disaccordi o le reprimende ancora di più. Ma vi sono cose che non è possibile raccontare, forse solo intuire. Grazie a tutti quelli che anche solo per un momento hanno posato lo sguardo qui ricordatevi di me senza astio, amate la scrittura e la vita uccidete le ideologie e i luoghi comuni. Se attraverserete lo stretto e annuserete il senso della mia terra io sarò lì sarò ancora vivo.
Il marasma grezzo e spinoso di questi anni negati alla verità e dedicato invece alle bugie fanta commerciali di spread, ideologie, insulti e strategie mondiali, crollerà su se stesso. Si rivelerà per ciò che veramente è: una fantastica e ridicola presa in giro. Saremo già morti o risuscitati, non importa, saremo davanti all’abisso che ci governa da sempre e con esso finalmente ci confronteremo. Saranno l’amore, la poesia, l’aria e l’acqua di cui siamo fatti a sostenerci davanti al tribunale dei nostri giorni perenni, e sarà bellissimo e giusto riconoscerci nel segno antico e profondo della nostra vera essenza.
La nostra è una storia d’amore signori, ma a volte ci sono tutte le stelle del mondo che ci remano contro. Dovrebbe essere come in certi film, in cui lui guarda lei in silenzio, lei abbassa lo sguardo per un attimo e, il fotogramma dopo, si ritrovano in un’isola sperduta che passeggiano su un pontile andando incontro al tramonto. Come nei film. Il resto sono sciocchezze. Ho letto tempo fa che l’amore è matematica: sbagli l’equazione e il risultato non torna più.
Oltre un certo confine, dove gli alberi si fanno radi e il silenzio non è più lo stesso, oltre la normale conoscenza con i suoi confortevoli limiti che parlano di senilità, c’è un altro territorio vastissimo e libero. Nei suoi cieli si muovono le cose e le persone che ho amato di più nella mia vita, non chiedono conferme, non temono confronti, non giudicano, esistono per sempre, fuori dalle parole e da questo tempo che divora il tempo. Arrivare lì è l’inizio del vero viaggio.
Guarda i miei geroglifici, avverti il sapore della inutilità. Questa notte come le altre in fila ad attendere un'altra vita e un altro senso. Dopo aver scritto penso sempre che a queste righe non ne potranno seguire altre, che queste righe siano totali e intoccabili, sintesi perfetta della fine e del nuovo inizio: una clessidra e noi polvere là dentro. Questo mi uccide, questo è appunto l’ombra del silenzio per il quale non c’è descrizione possibile. Ho provato a pensare di aver scritto ieri o l'altro ieri, poi mi sono perso nell'oggi. Ho ucciso il tempo ma esso mi insegue: questo è il suo epitaffio.
Quando arriva puntuale la sera io sfioro le superfici dei miei pensieri ad occhi chiusi per riconoscerli al tatto, per sentirli fluire, riconoscermi in essi e capire dove li ho traditi; non esiste palcoscenico adeguato a questo dietro le quinte, solo sussurri che giungono deformati dall’attesa e dal bisogno. Non vi serve, non mi aiuta, non fa scrivere.
Qui il tempo ha una valenza diversa, qui un anno ne vale dieci e se te ne vai è quasi scontato che di te e della tua opera nessuno dopo un po' si ricorderà; svaniremo tutti senza remissione. Così posticipare le pubblicazioni dei miei post in un futuro o comunque togliere alle date di pubblicazione qualsiasi valore reale significa disorientare e perdere tutti i contatti e far sì che nessuno ricordi cosa avevi scritto, l'oblio nella sua accezione più perfetta! Questo è il mio tempo sospeso.
Scrivere ha mutato abito, il mezzo travisato è un tasto immemore del fluido e della carta. Colloquiale non ha spazi, smarriti senza alcuna propinquità nemmeno trasversale all’incipit cartaceo: perdersi esulta infine anelando a nuova monade, nemmeno Leibniz avrebbe osato tanto. Eppure la molteplicità resiste inversa ai ritmi decisivi di una nuova comprensione, soma dormiente di alterità non condivise perché non condivisibili. Eccepire adegua, insegna, scompone in soluzioni immaginarie (cit), stupisce ma non lascia traccia questa metafisica occulta. Cercare nuove misure aborrendo per vezzo le antiche contraddice la nescienza oblata di coscienza di sé e una nuova serie di pratiche apotropaiche appollaiate sul dorso del lettore smarriscono l’orizzonte previsto e mai arrivato. Infine un breve suono dallo spazio interno chiude l’ora di ricreazione: alla prossima lezione di autoreferenzialità.
La scrittura nasce dall'immaginazione di sè nel mondo, inizialmente è esigenza intima e personale ma credo che nessuno poi abbia rinunciato alla comunicazione della propria esistenza intellettuale. Scrivere è un atto di fede verso il mondo, puntualmente disatteso. Solo ad un blogger che non comunica la propria esistenza e chiude qualsiasi interloquio posso credere che scriva per se stesso, astenendomi da qualsiasi giudizio. L'analisi arriva solo a chi si espone, l'opinione nasce solo da chi esprime pubblicamente ed è lì il cuore del problema: non comunicare facendo finta di farlo. Utilizzare il corpus scientiae acquisito come arma contundente, travalicare a bella posta i confini della comprensione (anche quella di elevato spessore) per dirsi esistenti nonostante il resto. Si chiama accademia e resta vacua anche se espressa in termini di assoluto valore, inaridisce nel chiuso della propria stanza pensante, anche noi orpelli esterni e plaudenti faremo la stessa fine.
Domani scendo sotto Siracusa, piano piano, mi fermo dalle parti di Vendicari, scelgo un eucalipto frondoso mi appoggio al suo tronco e mi perdo sulla linea azzurrina del mare. Voi non potrete vedermi ma sorriderò.
Sono sconfortato, in molti casi non vi si può leggere.
Ci ho provato lo giuro ma il livello è troppo basso e la presunzione di scrittura troppo alta. Poiché non sta bene criticare direttamente gli autori e non è nemmeno possibile scrivere delle mezze verità, io resto nel mio con questi testi. Testi da blogger senza pretese da premio letterario, senza ricerche di strategie sintattiche, senza inutili discussioni fra letterati mancati (discussioni ancor più ridicole di tutto il resto). Ci ho provato ma quello che pensavo mesi fa quando il meccanismo delle relazioni virtuali e della scrittura in rete si è frantumato del tutto, quell'idea maledetta torna sempre a galla. Non vi seguo più e resto qui per i fatti miei come posso: io sono solo un blogger.
Il maggiore pericolo che si corre nell'affrontare l’argomento “scrittura” su un articolo di un blog sconosciuto, da perfetto sconosciuto ( siamo tutti così), è quello di apparire saccente. Invece io vorrei dire alcune cose da lettore e basta: certo un lettore con una certa pratica di scrittura e molti anni di rete sulle spalle. La scrittura è comunicazione a parer mio, trasmissione di concetti, esperienze, emozioni. Non c'è modo più elevato di conservare la propria traccia esistenziale nel tempo della scrittura. L'esercizio "libero", come quello esercitato qui per esempio, è importante certo ma poi entrano in gioco altri fattori e non sempre essi sono quantificabili e prevedibili. Dipende per es. dalla cultura personale di chi scrive e di chi legge, dall'abitudine alla lettura di qualcosa che superi le tre righe dei social. Ma la scrittura, a qualsiasi genere letterario si rivolga, è soprattutto una liberazione per chi la produce e un'avventura per chi ne usufruisce. Non c'è una cifra stilistica sempre uguale da riferimento, vi sono testi che pur essenziali e nudi entrano dentro immediatamente, altri ben costruiti e "nobili" che restano irrimediabilmente fuori. Quello che mi da più fastidio nei testi che affronto da lettore è la forzata e snobistica presunzione di voler essere a tutti i costi "di tendenza", di volersi inserire in una cerchia ristretta da elite culturale….pur di raggiungere questo scopo ho letto testi inguardabili, astrusi, fumosi e pieni di spocchia salutati con grandi applausi da una cerchia ristretta di aficionados di quel blogger. Il web è pieno di esempi simili, all’inverso testi bellissimi, luminosi e originali fanno la muffa in certi blog dove trovare un commento e un lettore è una rarità. D’altronde nella letteratura ufficiale conosciamo esempi perfetti di scrittori o poeti quasi sconosciuti che hanno lasciato una traccia indelebile nell’animo del lettore pur senza avere nulla delle cose che oggi fanno un caso letterario di un libro. Ci sono decine di titoli in libreria che hanno come autori il politico di turno, l’attore, l’attrice, l’anchorman, il giornalista che improvvisamente vengono omologati al rango di scrittori ma ne sono lontanissimi. Un libro se è buono entra, ti obbliga a riflettere. E ti porta via.
Si scrive per l'altro, per gli altri ma soprattutto è l'altro che ci abita che scrive. Non illudiamoci che le nostre scritture possano rappresentarci. Esse sono aliene, sono lo specchio infranto di ciò che non siamo più. Quante volte - ti sarà capitato - hai ripreso in mano delle pagine scritte anni addietro e ti sei stupito di quello che scrivevi. Ora non lo avresti nè pensato nè scritto. La scrittura provoca questa alterità: in sè e per sè. Platone scrive nel "Fedro" che la scrittura travisa, inganna. Ma è il primo discepolo di Socrate - morto per non aver scritto nulla, e ancora oggi nessuno ci ha sufficientemente spiegato perchè il non scrivere sia stato più efficace dell'averlo fatto - a utilizzare la scrittura per mettere, in forma dialogica, in rilievo la necessità della testimonianza non solo orale. Si scrive nel blog perchè non c'è una motivazione reale che lo imponga. Non è un riempire un vuoto. Si scrive perchè è necessario farlo. Come cibarsi. Non ti nutri perchè hai solo fame. Lo fai per non morire. E per non morire, si scrive. La scrittura preserva dalla fine. Forse è la presa di coscienza del nostro essere transeunti.
Mi domando talvolta se un blog possa vivere di vita propria. Le cose scritte restano per definizione ma crescono? E se è così dove vanno e qual’è il loro destino? Un amore o una sconfitta raccontati e centellinati dentro le parole battute su una tastiera, cristallizzati in una dimensione a parte che non è quella del divenire quotidiano, emozioni così, cosa diventano poi negli occhi e nella mente di chi legge magari a distanza di molto tempo?
Il blog lo ripeto è già scritto, lo è stato da sempre, WordPress o Blogspot sono stati solo l’occasione, il mezzo per travasarci dentro tutta la parte di me che ci entrava, era scontato che tracimasse e rompesse i cabbasisi ai vicini… non sono un rompicoglioni, sono curioso e purtroppo so leggere e scrivere e lo sanno fare tutti gli altri me stesso che mi accompagnano. Non sono nemmeno così misurato e classico come faccio credere (un po’ mi diverto) però non posso sfuggire né alla mia educazione familiare e sentimentale nè alle mie esperienze: ci provo talvolta ad accomodarmi in salotto (sono bravissimo anche in jeans e t-shirt) ma poi mi chiamano dalle altre stanze…
Mascheriamo il niente e lo trucchiamo da primo attore, il resto della compagnia l’abbiamo licenziata. Io scrivo come se tutti i miei fantasmi avessero vita vera, le maschere che porto mi illudo di averle costruite io: ho una password, una tastiera e il sipario si è già alzato. Scrivo “come se”, vivo allo stesso modo.
Non avevo pensato di chiudere, avevo solo abbandonato questo guscio su una sedia e il corpo altrove. Ma entrambi soffrivano per la reciproca lontananza. Poi qualche giorno fa, ripassando sulle pagine di alcuni blogger ho capito che non era giusto, che comunque questo guscio era carico dei miei umori e che doveva vivere, a modo suo, con un tempo diverso, ma doveva vivere. Signori devo confessarvi che spesso negli ultimi mesi ho avuto fortissima la volontà di sempre: cancellare tutto! Eliminare del tutto le tracce del mio passaggio in rete perché questa parte di me, che dovrebbe essere la più intima e amata, mi fa star male da morire. Ho pubblicato tutto o quasi, è trascorso molto tempo, gli scritti sono mutati, hanno ancora almeno un residuo di valore? Non devo dirlo io permettetemi. Io posso solo dirvi che si è girata la pagina e per alcuni di voi è successo in anticipo su questa mia decisione: siamo così fragili! Qui ho pubblicato il cuore di tutto ciò che ho pensato e scritto in rete e per la rete; ho sempre avuto un atteggiamento contraddittorio e ondivago verso il web e mi pare evidente che esso non poteva essere digerito dalla gran parte dei blogger. Lo ritengo fisiologico. Partendo dai miei furori e dalle mie cocenti delusioni ho fatto in modo che la scrittura dei miei testi vivesse al di là della mia reale presenza accanto ad essi: nel mio progetto questo insieme potrebbe continuare così come lo state leggendo per altri mesi poi finirebbe per inedia. Io potrei già non esserci più in tutti sensi.
Ma se questa terribile stagione dovesse macerare il sogno di comunicazione? Se arrivassero cose nuove me lo scriveresti? Ed io le scriverei? Oggi temo di non essere più in grado di comunicare niente. Dovrei dirti di tutte le cose che non vanno? Assediare la tua mente con facsimili delle storture uguali a certe tue che solo intuisco? Meglio sarebbe raccogliere gli ossi di seppia del passato, delle estati a mare, delle ragazze con la pelle abbronzata e del desiderio di fare l’amore per l’amore…tanto domani sarebbe stata una bellissima giornata. Mi attraversa ogni tanto il ricordo di quel tempo, una stilettata, un’apnea da lasciarti senza fiato. Aiuto! Grido. Aiuto, affogo in tutta questa vita! Lasciatemi marcire nel mio vecchio e accidioso autunno. Non voglio morire, non voglio finire in nessun modo. Datemi un’altra dimensione, un altro mezzo, un altro ballo, un’altra finestra da cui guardarti perchè, lo sai, non posso fare altro. E se altro ci fosse non è detto che sarebbe meglio di queste righe battute sulla tastiera di un Pc.
I post che trovate qui sono chiari e non necessitano di fantasiose interpretazioni. Li ho scritti quando ancora credevo che scrittura fosse sinonimo di civiltà e solidarietà (i siciliani lo pensano spesso) ma mi sono reso conto che in rete da noi significa soltanto spocchia di un ben definito colore politico, chi è fuori dal coro è un mentecatto!!! Da questo remoto eremo in cui mi sono rifugiato tutto appare superfluo ma il grande desiderio d’eternità non è scomparso non possono essere le piccole quotidiane mediocrità a soddisfarlo, forse un’antica ragazza dagli occhi verdi aperti su inquietanti orizzonti potrà darmene la chiave. Vivo per questo e non ha importanza se sia o meno un’illusione. Io sono andato oltre. Chi può dire cosa siamo veramente, quanto sia rimasto dei nostri cuori, delle nostre sorprese? Questo viaggio non vi darà nessuna certezza... la vita in fondo è una magia.
Non posso scrivere diversamente da come scrivo, sono così; l’amore e la passione di cui parlo non sono forse anche vostri? Perchè vi destabilizza pensarlo? Per secoli l’uomo ha parlato d’amore e scritto d’amore e imprecato contro l’amore e i suoi poeti. Ma l’amore anche quello immaginato sussurrato fotografato descritto e bloggato è un sentiero difficile e pericoloso da percorrere. Perchè l’amore, fuori da noi, è sempre discutibile e osceno nasce come una magia intatta e subito dopo, a contatto col mondo, si ossida in una maschera volgare. Alcuni mi hanno invitato ad essere più tollerante tout court e a provarci ancora; io dico ricominciamo in un altro post, ho ancora alcune confessioni strabilianti da fare e sono un uomo che nasconde la sua tenerezza per non farsi troppo male.
Un mondo fatto di parole, qualche immagine e della musica, aria… aria e immaginazione. Io posso metterci qualunque cosa dentro, anche quello che chi scrive non si è mai sognato di dire…e questa è una cosa terribile. E’ l’aria, la mancanza di identità che ci fa volare via, ci svena, ci esalta, ci stupra ci inganna e ci affascina. Qualcuno invoca i doppi sensi, perchè non i tripli o i quadrupli dico io? Proviamo a ritornare elementari. Minimi. O ci fidiamo di quello che siamo e non rivendichiamo sovrastrutture che non ci servono, oppure muoviamoci circospetti come una belva assediata dai cacciatori. Ho fatto la belva per qualche tempo e sono pieno di cicatrici, però mi fido del mio intuito: c’è del marcio in Danimarca ma non bisogna prendersi troppo sul serio, sono in pochi a saper recitare il monologo “essere o non essere”. Io per esempio mi sono stancato: ho scelto sono e chi s’è visto s’è visto.
Lo dico senza orgoglio ma con pacata rassegnazione, ho piena coscienza dei miei limiti. Resterebbero tali anche se venissi colonizzato da una febbre nuova e trascinante. Giungere alla conclusione che è impossibile salvarsi, ecco il concetto primordiale che si stampa alla fine della risma di fogli che la mia mente ha prodotto in questi anni.
I Blog sono un vezzo e una necessità culturale, sfruttano le possibilità dell'odierna tecnologia ma non sono poi migliori di un buon carteggio o della pagina scritta di carta. Sono soltanto più immediati. A furia di essere immediati sono anche diventati più stronzi e volgari, una pletora di oscenità letterarie e mentali, lo specchio fedele di questa società da basso impero o la logica conseguenza di certe premesse sociali e culturali presenti già 60 anni fa.
Scrivere col tempo ho scoperto significa porre la nostra dimensione esistenziale davanti a noi, farci guardare in faccia dalle cose che viviamo, portarle fuori e riprovare a meritarcele con la forza del pensiero. E’ un diventare adulti senza dimenticare il ragazzo libero che vive dentro di noi. Ma è anche un gioco pericoloso perchè esalta la verità intima di ciò che siamo e la verità è un confronto scomodo, la verità pubblica lo è ancora di più.
A mio parere abbiamo già detto tutto, quelli come me possono al massimo ripetersi, passando dal ridicolo all'agiografico o dallo storico appassionato all'incisivo sintetico (vedi twitter); in pratica abbiamo fregato le nuove leve della blogosfera e l'unica cosa che possiamo fare è sparire per dar loro l'illusione che ci sia veramente aria nuova in giro.
Quando scrivo sono temerario, oso con una certa arroganza di fondo di cui mai sono riuscito a liberarmi, divento prudente solo se vedo di fronte a me smarrimento…in quei casi divento prodigo e disponibile. La parsimonia non mi appartiene sono fondamentalmente uno sciupone e ho un pessimo rapporto col danaro: con i sentimenti invece non scherzo mai e li tengo gelosamente riservati, ad essi riservo il mio trattamento migliore, a loro dedico tutta la mia fantasia. Non amo gli stereotipi, li uso con malcelata irritabilità, la prudenza e la capacità di glissare le ho imparate per educazione familiare e le immolo ogni giorno sull'altare della mia indole accesa. Sono tranquillo e attento, non sospettoso, come un greco. Ti sembro abbastanza siciliano?
Non so più scrivere mi dico a volte. Guardo smarrito la tastiera e mi affido al foglio e alla penna. Crollo la testa e mi allontano col pensiero da tutto: la stupidità di vivere arriva subito dopo con i suoi banchetti di roba usata. Mi dice guarda, tocca, compra e, soprattutto fai in fretta, domani non ci sono più, domani non esiste. Non c'è riuscita finora. Non compro nulla ma annuso tutto. Apro le ali che non ricordavo di avere, il fruscio dell'aria sotto di me è una poesia che mi porta via. Non è vero che non so più scrivere. Scrivo per questo.
La mia vita assomiglia sempre più ad un uscio stretto, un accesso quasi nascosto e impersonale. Oltre quel piccolo varco c’è il mio mondo, lo spazio perenne dentro il quale vive la mia libertà. Bella e splendente come nessuna parola potrà mai dire. E’ la dimensione in cui vorrei restare ed è finora il mio cruccio continuo. Chiudo la porta dietro le mie spalle e di quel benessere resta solo per qualche breve periodo l’eco sempre più lontana. Non posso fare altrimenti: le pagine vivono qui, mi attendono, tornerò un giorno e più nulla mi separerà da esse
Mi è rimasto questo spazio per raccontare a me stesso e a qualcuno di voi vecchie storie piene di incantesimi e magie, lontani profumi di stagioni irripetibili ma vere. Oltre un certo limite la vita acquista un sapore diverso e più ampio, si ridefiniscono i contorni del senso di vivere e della gioia che è insita in esso, anche le parole sono diverse e suonano un’armonia che è giusto incontrare lungo il proprio percorso. Adesso che l’estate pian piano fiorisce e la sua essenza permane sempre più forte come l’impressione di una parola inespressa, adesso che il tempo seguirà percorsi più lenti, adesso è l’ora di sedersi a guardare il nuovo giro del sole.
Enzo è qui dietro i tasti, una laurea in medicina e un’altra vita 2000 chilometri più a sud. A chi mi chiede e si chiede se ho mai la tentazione di rivedere certe moviole, se ne valga la pena non posso dare una risposta sicura, il tempo ci trasfigura e le lunghe assenze sono un colpo al cuore: una mano regala piacere e commozione, l’altra ci sega via una fetta di vita e di illusioni. Gli altri amici che, come me hanno, la fortuna di risiedere oltre lo stretto, godono di consuetudini che annullano i “colpi al cuore” prima descritti. Da fuori sembriamo solo più o meno invecchiati. Siamo altro? Vito direbbe: “Mah. Palma sarebbe sicura che sì, c’è dell’altro. Cinzia direbbe che siamo fermi come scemi a 20 anni. Io dico che siamo scie di comete…una traccia la lasciamo sempre in questo cielo. Spero ce ne sia un altro, un altro dove Tizzy sia ancora disposta a baciarmi e a insegnarmi a scrivere. Chi può dire cosa siamo veramente, quanto sia rimasto dei nostri cuori, delle nostre sorprese?
Gli zingari felici li vidi molto tempo fa, io non posso e non farò mai parte di quel gruppo; potrei essere felice in altro modo…o in un altro tempo. La società in cui sono cresciuto ai miei 17-18 anni era povera di tecnologia, dura e piena di vetri taglienti, coloro che mi avevano preceduto tentavano di aggrapparsi ai nostri vestiti per non sparire dal palcoscenico. Li abbiamo fatti annegare per cantare una musica diversa, quella di Anna che ha 18 anni e si sente tanto sola, ha la faccia triste e non dice una parola tanto è sicura…Non voglio fare mea culpa cretini: fu così, eravamo così, andavamo al liceo con giacchina e cravattina, togliersele fu una rivoluzione! E’ il profumo di quella rivoluzione che mi impedisce di essere obiettivo ma, in fondo, cosa me ne frega? L’ombra di mio padre è ancora due volte la mia però adesso lui cammina ed io corro.
Parlerò d’amore e quasi tutte le parole resteranno chiuse in gola e scuoterò la testa invocando l’unica che potrebbe dare loro la libertà di volare chiare nel cielo. E’ solo una questione di fede, come sempre: una scelta d’abbandono predestinato e fuor di logica. Dovrei credere che il filo sottilissimo possa ricomporsi. Che la frattura guarisca, senza segni, senza enfasi alcuna. Carezzo il velluto della poltrona con una lentezza golosa: ti rivedo al pianoforte e ti risento, suoni per me come allora ma dovrei credere che il filo sottilissimo si sia ricomposto. Carezzo il dorso dello schienale e in questa stanza non c’è nessun altro al di fuori di me e del mio ricordo vivo.
Non cancellerò nessuno dei miei blog da essi per vie traverse si può arrivare ad altri blog, le mie pagine sono lì, saranno così fino a quando il potere elettronico lo permetterà. Non so chi le legga, non so più nulla, ho inserito la moderazione, ogni tanto costruisco una nuova colonna sonora (è il mio unico diletto), cerco immagini, vi leggo e scappo via lontanissimo a implorare il mio sogno di non abbandonarmi per sempre, gli giuro che scriverò ancora di lui, sciorino progetti e spargo in giro fogli appena accennati. Lui mi guarda silenzioso poi mi dice che è tutto pronto, che il mio testo l'ho scritto in un tempo lontanissimo e estraneo a questo e che c'è una donna che lo conserva. Appartiene a lei.
In questa casa che io chiamo scrittura ho portato quasi tutti i miei pensieri dispersi, è probabile che per un certo tratto io sia riuscito anche a farvi da guida. Fino ad un certo punto… poi si corre su due binari ed è scomodo, signori, scomodo e pericoloso. Il primo binario si chiama Memoria Storica: percorrendolo ti vengono incontro le verità rimosse, le stragi occulte, gli accordi segreti tra potere istituzionale e mafie, le morti sospette e anche il curriculum dei voltagabbana mendaci e ridicoli. Il secondo è privatissimo, si chiama Ricordi ed è il buco dove ho nascosto la mia memoria, gli amori sbagliati, le illusioni perdute, la mia infanzia sognante, i miei anni di piombo col loro carico di vittorie e di sconfitte.
Se stanotte non mi fossi messo alla tastiera non sarebbe cambiato nulla, il mistero di questa veglia gonfia di attese e ricordi si sarebbe spiegato in maniera diversa, non potrò mai sapere dove e come sarebbe giunto ad altri da me. Non contiamo niente, non conto niente, non significa niente quel che ci facciamo scorrere tra le dita dicendoci l’un l’altro che siamo e dobbiamo stare attenti ai nostri personali confini esistenziali. E' tutto altrove e non so dirvi dove ma lo vedo, posato un po’ più in là sul mio orizzonte. Scrivi Enzo, lascia una traccia, questa notte che ci sei, domani potrebbe restare solo chi ti legge le carte, senza il tuo intervento a correggere l’inutilità del vivere così. Senza il tuo commiato. La clessidra capovolta sta esaurendo il suo contenuto.
Piove, meravigliosamente piove, l’acqua detta un ritmo diverso al mio tempo, lascia dentro di me pozze piene di riflessi tremolanti: vi sbircio dentro e l’uomo che sono ritorna bambino con contorni imprecisi e molti sogni ancora da afferrare. Prima del grande secco dell’anima. Riapro lo stesso foglio oggi come se fosse il richiamo di una stagione che torna, di una speranza che cresce. Di un sogno che non muore.
Decine volte mi sono affacciato sul mar d’Africa in questi anni per cogliere la metamorfosi dà vita a forma, la dialettica eterna, l’ossessione di Luigi Pirandello. Il mare in fondo alla vallata pigra è lattiginoso, sempre placido e sfumato in un chiarore che racconta lunghe partenze ed infiniti ritorni. Lo ricordo così dalla prima volta: dalla visita dei miei dodici anni con padre e madre a sorvegliare la mia inquietudine. La signorina Matraxia mi amò, in un tempo lontano ed io amai il suo essere schiva e proibita; mi ripetevo, di tanto in tanto, più il suo cognome che il suo nome, quel suono così “greco” e deciso. Giulia Matraxia, mi accorsi di amare più il tuo muoverti altero che il sapore della tua bocca, e quindi ti lasciai.
Oggi il sole è chiaro, un’armonia perfetta che monda il paesaggio da ogni imperfezione e io sono un uomo fortunato, non allegro né soddisfatto, ma cosciente della sua vita questo sì. Non è poco. L’unico rimprovero che mi faccio è che dovrei stare più attento quando dico o penso certe cose: i mai, i per sempre non sono materiale da maneggiare con disinvoltura alla mia età. Si tratta di frutti proibiti. Per me sono stati l’anticamera dell’impotenza, monoliti eretti nelle praterie della mia vita. Per quanto mi sia allontanato, nonostante l’infinità di stagioni trascorse, infine mi ritrovo sempre di fronte ad essi: o sono la verità assoluta o il vicolo cieco in cui mi sono cacciato da ragazzo, e il demone ride. Sono un solitario e adesso non ha più importanza capirne il perchè: è trascorso tutto il tempo necessario ad esaurire le ragioni di una vita vissuta così. Io sono solo. In compagnia, buona o brutta, assorto nel formicolare di pensieri o nel silenzio vuoto di un giorno d’estate, io sono solo. Ci sono attorno i totem densi di tutto ciò che ho amato: i visi, gli occhi, il suono delle parole dette o sussurrate…non cambia poi molto. Sono solo con tutto ciò che amo.
Lo sappiamo tutti che il momento migliore è l’inizio, i primi tempi… tutto ciò che viene dopo sono accomodamenti ma l’amore, l’amore è già altrove. Ho visto storie d’amore compiersi interamente dentro uno sguardo, una carezza, un dono, una frase, un rifiuto; e non è mai stato accettabile dal mondo tutto ciò, anzi quando diventiamo interlocutori di un amore la gelosia ci fa essere dei Torquemada dei sentimenti. Giustizieri implacabili e sanguinari. Ma io mi ritengo fortunato, per me un gesto d’amore è comunque un patrimonio incalcolabile, qualsiasi percorso abbia seguito per arrivare fino a me. Per secoli l’uomo ha parlato d’amore e scritto d’amore e imprecato contro l’amore e i suoi poeti. Ma l’amore anche quello immaginato sussurrato fotografato descritto e bloggato è un sentiero difficile e pericoloso da percorrere. Perchè l’amore, fuori da noi, è sempre discutibile e osceno nasce come una magia intatta e subito dopo, a contatto col mondo, si ossida in una maschera volgare.
Era il primo anno di liceo classico quando una ragazza mi rivelò il mistero del parlare e dello scrivere: io le dissi ti amo, lei si avvicinò e si mise un po’ di sbieco affinché potessi ammirare la lunghezza delle sue ciglia e mi rispose: “Scrivilo, non dirmelo perché lo dimenticherai, scrivilo con un bacio.” Ho parlato con migliaia di persone ed erano tutte chiacchiere importanti, l’unico ricordo che conservo di esse è un’eco lontana. Scrivo da quel pomeriggio in cui Enzo scrisse a Tiziana con un bacio lento e pieno d’aria che era innamorato di lei. Così Tizzy c’è ancora, con la gonna a quadri e lo spillone dorato e la camicia chiara sopra il seno ansimante. C’è perché ne ho scritto. Allora come adesso, scrivo per pesare di più sulla bilancia della vita o per continuare a crederlo. Ognuno di voi ha la sua ricetta e relativa posologia dentro la tastiera… miliardi di battiti e di baci, un firmamento di astri luminosi che contengono le nostre vite, che continueranno a riflettere sulla terra anche quando i proprietari saranno volati via.
Se ami non fai l’amore, ce l’hai dentro e lo tiri fuori, non ti vedi mentre lo fai e quindi non hai nessuna pruriginosa fantasia sessuale. Non c’è sesso nell’amore ma solo sviluppi trascendentali di una nobiltà eterna che hai come patrimonio da spendere. E lo spendi male, sempre. Il concetto di piacere sessuale sta stretto dentro il mio amore: prima no, prima ci stava benissimo ma era un’ipotesi.
Desiderio di seno, di pelle, di labbra: cerco di penetrarti con le parole e ti bevo con la mente. Sono trascorsi pochi istanti ma non posso più tornare indietro, è una tensione inarrestabile verso un orgasmo liberatorio; te ne sei accorta e ti sei riconosciuta, mi agganci con i tuoi occhi verdi, quasi febbricitanti, e non mi lasci più. Forse pensavi che tutto questo non fosse possibile, pensavo anch’io la stessa cosa prima di conoscerti. Ascoltami, ora, in un attimo, sta morendo il vecchio ragazzo che sapeva molte cose. Al suo posto sta nascendo un uomo nuovo, ignorante di tutto, ma curioso d’ogni cosa. Parlami, signorina, avvelenami un po’ alla volta: sta scomparendo tutto, gli oggetti e le persone intorno a noi. Saremo soli io e te fra poco, assolutamente soli. Quel che non sapevo è che la solitudine di noi mi avrebbe accompagnato per sempre.
Ho amato, profondamente e senza alcun ricambio: è l’unico modo per diventare uomini. Comprendere ad un certo punto della propria esistenza che ognuno è solo e che la fragranza di una donna è solo un meraviglioso dono fugace e non prevede appartenenze di sorta. Una ragazza è solo sua, mai apparterrà a nessuno: il legame sessuale è solo una parentesi che ha un senso in una dimensione di libertà.
Più tardi mi innamorerò di un’altra donna fingendo di non riconoscerla poiché è sempre la stessa: le dirò” Sono qui, dai un senso alle cose che vedo, fa uscire la musica dai miei simulacri incantati ad immaginarti. Amami per nulla, per tutto, adesso così senza rendez vous, amami perché hai capito… o fingi, con un sorriso, che io sia ancora il ragazzo dai capelli rossi e gli occhi chiari che avresti potuto amare”
Oggi il cielo preme l’aria sul mare fino a disegnarlo senza più orizzonte, e lo fa impalpabile come l’apparenza di una coincidenza che mi attraversa per caso. Oggi anche le tende hanno perso il vento e restano rigide come morte. Sgonfie. Come palloncini in attesa di una mano innocente che le salvi da un’inerzia di terra.
Lo senti il tempo? -E ora che siamo qui puntando l’ago nel tessuto di quest’istante, vorrei dirti che l’amore è come il tempo è come la pioggia. Cade sottile e fa rumore solo quando batte sulle cose e le riconsegna al termine di un’attesa in cui riposa il mondo. Traccia ogni linea, riempie ogni vuoto, e poi ti fa credere che quello che vedi era già qui per te e resterà qui per sempre.
Oggi ho messo sull'abito un profumo salmastro per dare il mare alla tua pelle senza che tu possa vederlo, per poi farti credere che ero già qui per te e resterò qui per sempre. Ma tutto è un inizio che continua in un altro inizio che qualcuno ha lasciato andare. Restare è un verbo disumano, lo vuoi?
Tuttavia il senso di vuoto, di inutile...di sprecato incombe sulla mia vita e fatalmente si riflette in ciò che più intensamente mi rappresenta, la scrittura. Molto tempo fa non usavo i puntini di sospensione, ero sicuro, quasi arrogante nell'esprimere il mio pensiero: possedevo una certa autostima da questo punto di vista, spesso in gioventù si deve essere così. Da anni le cose son cambiate, so di non riuscire a tirar fuori tutto, solo una piccola parte dell'emozione profonda che ho in testa passa nelle righe. Mi sento impotente a scrivere tutto e i puntini di sospensione indicano esattamente quello spazio vuoto e inespresso. Forse raggiunge ugualmente il mio scopo, forse comunica. O forse no e viene interpretato in altro modo. Comunque non è un vezzo.
Sto chiudendo tutto, è estremamente difficile per me restare qui, i residui meccanismi di interlocuzione si sono ulteriormente usurati e so che un blog senza interlocuzioni non ha senso. Quindi non ne posso avere nemmeno io. Lasciare solo uno spazio per leggere i miei testi mi pare un gesto arrogante e stupido: perchè dovrei ritenermi un comunicatore di validi concetti? Talmente elevati da non rispondere mai a nessuno? Talmente superiori come sintassi da non poter essere avvicinati da nessuno? Ho trascorso la mia vita pensando esattamente il contrario, non ho mai amato i guru a qualsiasi corrente appartenessero, provo un fastidio fortissimo quando ne incontro qualcuno. Così non ho speranza soprattutto in questo ambiente. Devo mettere un diaframma tra il mio silenzio interiore che diventa ogni giorno più assordante e l'esterno reale che brulica fuori nel mondo reale; il salotto deve essere ridotto, estremamente elitario, non deve prevedere discussioni come estensioni necessarie di un galateo da rete che io non ho mai ossequiato. Devo riprendermi il tempo della lettura cartacea e non...sinceramente trovare qualcosa su cui convenga intervenire è evento rarissimo e mi pare evidente che tale condizione DEBBA RIGUARDARE ANCHE CIO' CHE SCRIVO IO.
Il pensiero nascosto Vive di una riflessione serissima e sofferta, essa non potrebbe sopravvivere se entrasse continuamente in contatto con interlocutori fasulli. Intendo dire persone che hanno già in tasca tutte le ragioni e tutte le risposte preconfezionate: in genere sono ragioni e risposte cresciute all'ombra di ideologie feroci e non discutibili. Sono le peggiori e, se ci pensi bene, quelle che ti "proteggono" meglio. Entri in un circolo virtuoso, in una tendenza perfetta che ti regala l'accesso a gratificazioni continue e visibilità diffuse. Dentro questo circolo godi persino di una onorabilità etica che non devi discutere ad ogni piè sospinto, è un vantaggio innegabile, una comodità enorme. Io non ne ho mai goduto, non ne ho mai voluto godere, ho un'indole diversa, ostica, contraddittoria, sono un isolato e soprattutto sono molto stanco. Di tutto ciò che importa a chi frequenta il web mi importa poco, vivo per dare spazio a altre dinamiche, ho interessi diversi e scrivo per non scordarmi di esistere. E' il massimo che posso dare ma tu credo lo abbia chiaramente inteso.
Penso che la magia iniziale resti indelebile, mutano altre cose; in realtà ciascuno di noi è impreparato all'incontro con il mistero che chiamiamo amore e quando ci attraversa dobbiamo cavalcare un uragano potente. Quel "noi" che vive l'innamoramento e l'amore non muore, resta per sempre a morderci il cuore ma l'altro che recita assieme a lei il copione della tragedia si "consuma" e illanguidisce nella quotidiana mediocrità ed è in questo confronto che l'idea dello splendore precedente ci uccide. Non so se sia un fatto genetico ingovernabile, non so come sia possibile elaborare in modo decente questo lutto, so però che il patrimonio enorme che abbiamo avuto tra le mani va difeso e custodito a qualsiasi costo perchè la bellezza e la luce esistono e ci guidano. Senza di esse noi siamo inutilmente vivi e altrettanto inutilmente morti.. Perdonate l'astrusità dei concetti ma costringere il metafisico dentro le parole umane cosa complicatissima é.
Non scivola via che l'apparenza, il tempo breve, l'immediato, tutta la somma delle emozioni vitali di quel momento. L'altro tempo, la dimensione potente e segreta della nostra essenza affettiva resta per sempre: ci racconta di un patrimonio avuto tra le mani da ricordare, un bene prezioso in sè, la prova che siamo capaci di elevarci sopra le colorate mediocrità del quotidiano, che siamo capaci di amare. Non c'è un do ut des, non è uno scambio commerciale, è qualcosa di talmente forte da cambiare la percezione della nostra vita. Il replay al contrario infine ci riporta a ciò che siamo stati. alla bellezza che nascondiamo per sconfiggere la morte
Stanotte non c’è che la tua ombra che resiste al fuoco, e questa parete bianca. Le spalle sono vuote in queste stagioni senza misura: fa freddo ovunque. Il freddo ha il suono che sento farsi ampio nelle fessure, mentre raccolgo la mano che mi passasti nei capelli, il tempo è come tempo dell’amore, stanco quando arriva. Quando scompari dietro l’angolo che hai costruito chissà dove, le stanze hanno altre stanze, puoi prendere appunti ma ora è necessario dimenticare, poi scriverai appunti di me fermati in qualche nodo della voce. Ti saluto, è necessario dimenticare, per chiudere l’assenza. E così poi potremo dire che stiamo andando in un’altra direzione. Il tuo vecchio impermeabile è un vuoto che frana questa notte, chi sono gli angeli adesso? Chi sono i peccatori? Accarezzami la ruga che ho sulla fronte. -Ti ho lasciato qualcosa di me a ricordarti dallo specchio che siamo stati qui - Siamo stati qui. - e che sono sempre un altro che non riesco più a ricordare.
Io attendo che il desiderio mi appartenga altrimenti è inutile, non voglio partecipare all’amore come ad un evento mirabolante in cui compari per dovere d’esistere. Scelgo con un’attenzione estrema e sottile perché lo so bene che chi seduce in fondo perde spazio e diventa prigioniero di sé stesso. Ho imparato da ragazzo a percepire l’artefatto, la malizia ed ho conosciuto un sentimento mondato da questi orpelli solo due volte nella mia vita. Me li tengo stretti al corpo quegli odori e quei momenti quando la seduzione si svolgeva in un canto libero e senza necessità di presentarsi in un modo piuttosto che in un altro. Non mi è restato altro, non vedo altro. Non avrò altro.
Vorrei dirvi cari blogger che siete/siamo così, che usiamo internet, che leggiamo la stampa e guardiamo la tv con le sue immagini di guerra e distruzione in Ucraina perché una mattina del 6 giugno del 1944 10.300 giovani ragazzi americani e canadesi si fecero massacrare dalle mitragliatrici tedesche sulle spiagge della Normandia. Le truppe dei compagni russi da est e per via terrestre completarono l’opera verso il nido di vipere chiuso in un bunker a Berlino. Non trovate strano che forze così diverse ideologicamente tra loro si unissero verso un nemico comune? Infatti subito dopo aver chiuso la faccenda cominciarono a farsi la guerra tra loro, una guerra “fredda” come un quarto di pollo in gelatina ma molto pesante da digerire. Credetemi siamo una specie vivente venuta male. Adesso magari state pensando di aver di fronte il solito destrorso cretino al servizio di un americanismo radicale: non è affatto vero ma senza l’intervento giapponese a Pearl Harbour nel 41 oggi saremmo il risultato di una Pax tedesca di matrice nazista…e molti di noi non ne avremmo neanche coscienza. Una Europa coperta dall’aquila del Reich e la nostra inutile italietta a scimmiottare Berlino, cosa del resto che ci è sempre piaciuta molto. Ora jeans e rock and roll, nell’altra versione birra e croci uncinate con circa 6 milioni di ebrei sterminati da dimenticare.
Ho amato due volte in tutta la mia vita, la seconda volta è stata dura perchè la prima ferita era stata profondissima. Non ci sono tante chances per l’amore, una o due e poi stop, poi solo i ricordi su una pagina, un post sugli amori perduti che vagano là in alto come personaggi in cerca di autore e non ne avrebbero bisogno. Qua in basso restano solo le conseguenze della perdita: un vuoto secco di anima, un disperato tentativo di far finta di niente. E le mani vuote senza più magia in attesa che venga il tempo giusto per poterne parlare in modo appropriato perchè l’amore alla fine è un patrimonio stupendo che resta come resti tu. Bellissimo e innamoratissimo un attimo prima del crollo di un’epoca, ma se giri la moviola al contrario e spacchi un fusibile diventa tutto un lunghissimo rallenty e lì dentro le donne sono di uno splendore assoluto e tu perfetto con loro in quel trailer. Spero che voi siate innamorati. Io non più.
Ci fu un tempo lunghissimo in cui mi piaceva molto essere amabile, sapevo ritrovarmi in un attimo ed ero estremamente determinato nel mio progetto seduttivo. Ah, quanto duravano le mie stagioni, le estati infinite a divorare il sole e la luce e quanta crudeltà c’era nello scivolare tra le pieghe della carne e sentirsi in armonia sempre, senza mai un ripensamento che non fosse una nuova strategia, un’onda nuova che mi portava in cresta a mostrarmi il tuo corpo nudo e acceso.
Arriverà tra poco nuovamente da queste parti un bellissimo novembre: sembrerà nuovo e pieno di promesse. La sensualità della terra e del mare, la luce di sbieco dei pomeriggi lasciati a cullarsi in attesa di possibili percorsi erotici, si sommerà alla inevitabile bugia degli anni. I belli e le belle nascosti nell'ovale di una fotografia riusciranno a rendere la ragione di una vita trascorsa a inseguire un sogno?
Che la notte rovini su questo giorno luminoso e aperto. Ci siamo amati di più lungo questo periplo marino che in mille giorni di coiti sfrenati, ci siamo sfiorati le vite per gridare che non potrà mai più esserci una prossima volta. E anche questa è una menzogna: la volta è una sola, apparecchiamo il desco a questo miracolo, parlami delle tue poesie e delle tue paure, delle nostre canzoni e di quel giorno sotto la pioggia quando ti dissi - I tuoi capelli sono almeno la metà dei motivi per cui ti amo - Non siamo noi è il mondo che si agita per la nostra assenza, adesso abbiamo riempito il vuoto ma lui ci aspetta negli altri amori, quelli riusciti male, non amati, sciupati. Non siamo noi, troppo leggeri e perfetti per far vela al vento che sale dal mare. Non siamo noi, la nostra ombra si aggira ancora qua mentre andiamo via.
Leggera, leggerissima. Non avrei mai immaginato che la trasparenza scivolata tra noi diventasse nel tempo la nostra fine. C’era il tuo profumo ma il pianoforte ne aveva uno più forte, il legno e i suoi tasti aspettavano le tue mani e la musica. Quante volte si ripeté il miracolo? Quanti giorni consumammo assieme senza sapere nulla del futuro? Eri leggera, leggerissima, quando ti ascoltavo al pianoforte non capivo, non potevo sapere che il suono ci avrebbe portato così lontano. L’ultima volta fu un Debussy dalle note infinite, suonasti gli accordi finali con gli occhi chiusi, la musica si spense senza un sospiro, cadde ai miei piedi e si dileguò per le stanze della nostra vita. Leggera, leggerissima come un battito di ciglia.
Questo non è un blog d'opinione, che significato ha questo termine? IO HO UN'OPINIONE, l'ho su molte cose ma non faccio opinione! Non pretendo di farla, me la studio, la vivo e la analizzo. Non la vendo ma la difendo aprioristicamente se essa viene attaccata gratuitamente, l'ideologia di altri non può valere più della mia per partito preso. Avere una opinione, scriverla in rete significa nella gran parte dei casi suicidarsi per contatti e audience; nei blog decenti da un punto di vista letterario l'opinione è UNICA, una dittatura del pensiero che nasce da molto lontano, dalla fine del secondo conflitto mondiale e dalla egemonia ideologica della sinistra che pretese di fondare questo straccio di Repubblica delle banane su una guerra civile. Ma io per fortuna ho superato da tempo l'imbarazzo di dover piacere per forza a qualcuno, di dover cinguettare su testi e concetti falsi e vuoti.
Da quando scrivo in rete ho contatti speciali con blogger che ritengo abbiano opinioni molto diverse dalle mie se non contrastanti; ho ben capito che esprimere con chiarezza le proprie idee in aperto contrasto con quelle di tendenza nell'ambiente frequentato ti espone a un isolamento mediatico potente e progressivo. Devo francamente confessare due cose: la prima è che chi è in asse con le mie opinioni mediaticamente e culturalmente è spesso una nullità mentre dalla riva opposta ci sono fior di esecutori. La seconda è che non mi importa dell'isolamento io non faccio compravendita di contatti e non sono disponibile a compromessi a qualunque costo. Io sono un uomo libero sarà questo che vi disturba.
A ventanni la mia fede marxista aveva subito un duro colpo proprio nell’ambiente che frequentavo: c’entrava una ragazza (c’entrano sempre) e la sua vagina ideologicamente avanzata; da quella ero poi passato ad una revisione critica delle posizioni politiche del movimento. Insomma non ero più un fervente e cieco compagno ma quella prima idea sul Capitale di Marx era ancora profondamente valida per me: i soldi c’entrano sempre… le donne pure.
Per risolvere e gestire problematiche sociali ed economiche nuove bisogna conoscere bene i luoghi, le tradizioni e l’ambiente in cui agisci. Il sud era un mondo a parte nel 1860, ne migliore ne peggiore, diverso. Un regno con la sua economia e la sua gente. I Savoia non fecero altro che sovrapporre il loro mondo, le loro leggi e i loro interessi a qualcosa che somigliava tanto ad una colonia di sfruttamento. In quest’ottica superficiale affidare il controllo del territorio campano alla camorra del tempo che già lo controllava parve ai piemontesi il sistema più comodo e sbrigativo, semmai da modificare in seguito! Il messaggio che arrivò alla popolazione fu immediato: niente è cambiato in meglio. Se Crispi ne fosse o meno al corrente non so dire ma certo è difficile pensare che le menti che pensarono e vollero l’unità di Italia, che ne idealizzarono la storia e il divenire, fossero così ingenui da non capire che l’abito unitario doveva essere cucito con altri tessuti e altri sarti. Vittorio Emanuele non cambiò nemmeno il numerale dinastico del suo nome alla proclamazione del regno d’Italia unito.
I miei amori ricordati sono perfetti: belli e levigati. Sono essenza pura e resistono al tempo per questo, per lo stesso motivo non mi ingannano più. Quelli di cui parli tu sono incubi e mi dispiace per te, i miei teneri e spaesati ricordi di una vita che ancora scorre. L’amore prende e dà, più lo misuriamo e più ci sfugge, inserito nelle roboanti categorie della nostra tremebonda mediocrità ride di noi, ci sfiora, a volte si presenta dopo una svolta e ci fa sbandare con cinica abilità. Così ho fatto trascorrere una parte della sera ed ho aspettato la luna per sorprenderla mentre trescava col mare. Ed ero solo.
Una cosa l’ho certamente capita: il tempo è un bastardo falso e crudele, ci imbroglia dandoci impressioni false su di sè, lasciandoci credere che si è concesso molto o molto poco e facendoci prendere cantonate tremende. Io penso che per camminarci dentro sia necessario recuperare una nostra misura, attenta e seria, una capacità di valutare senza fasi sentimentalismi i nostri giorni ma ciò che conta veramente sono gli interlocutori. Vanno cercati per tutta la vita perché un tempo vuoto di stimoli, idee, emozioni, amori non è nella natura umana, noi apparteniamo ad altro, non siamo vegetali con un ciclo prefissato e finito, non siamo solo il tempo QUI e ORA. Siamo trascendenza e se capiamo il gioco del tempo, se esso ci turba è perché la sua dimensione l’abbiamo inventata noi, è relativa (senza scomodare il vecchio Albert), l’assoluto siamo noi con tutto il bene e il male.
Ciao domenica, perchè ti nascondi sempre dietro il sabato? Quando la finirai di prendermi in giro? Dovrei scrivere un post enorme altrimenti dove la metto la mia vita? Ho capito, ho capito, lascio un po’ di cose in giro, rimasugli di me, frammenti che spiegano e poi ti lasciano a mezzo, non dovrebbe essere così ma così è. Non sono più da nessuna parte; questa domenica che domani mi lascerà innamorato deluso si ripresenterà prima o poi.
- Non mi dai un bacio?
- Ti amo
- Io no
- Non importa, non importa mai. Accidenti, perchè non importa mai?
- Mi hai. Mi hai avuta. Non mi avrai mai più. Nessuno mi avrà mai più
- E’ la cosa più bella che tu mi abbia mai detto
- Scrivila allora.
Scritta!
Dovete leggere giovani blogger, qui o meglio altrove (anche sull'ormai desueto cartaceo) dovete leggere. Non è detto che sia lì la vostra salvezza, la gangrena montante di cui quelli della mia età sentono il puzzo più di voi per un semplice fatto di anagrafe non è certo che vi risparmierà per il fatto di aver letto. Ma creperete più dignitosamente e non è cosa da poco. Leggendo imparerete cosa siete, come ci siete arrivati e cosa vi aspetta; amerete l'eleganza naturale, fisiologica direi, della trasmissione scritta del pensiero perchè non sempre funziona all'inverso, non sempre ad una parola detta corrisponde un retro pensiero, anche il web è strapieno di inutili zucche vuote! Dovete leggere se volete amare da esseri umani maschietti dalla virilità incipiente e pulsante e fanciulle su cui posare il desiderio nascosto di essere eterni attraverso le vostre vagine. Dovete leggere, dovreste farlo e invece non lo fate! Aggiungo che dovreste leggere FUORI dai vostri limiti territoriali, sociali e ideologici, cosa difficilissima e scomoda.
Sono combattuto tra il narcisismo intellettuale di continuare a propormi in rete e il timore che esso mi porti ad una condizione di presenzialismo che credo di non saper gestire. Ho nostalgia del cartaceo, le mie capacità di socializzazione sono scarse su questo non ho dubbi… Sono nato sul cartaceo, ho mosso lì i primi passi, quindi sono passato sulla vera letteratura complice la fornita libreria di casa. Infine sono approdato in questo ambiente, sull’ipertesto con contatto immediato scrittore-lettore dei blog. Mi affascina ma non mi ha mai convinto fino in fondo, credo sia una questione di anagrafe. E’ un dualismo che io personalmente non ho mai risolto. Il salone grande vista mare c’è già ma lo abito solo io da molto tempo: esiste l’indicazione stradale e ci si può arrivare senza problemi ma non lo fa praticamente nessuno. Raramente qualcuno suona il campanello ma…non ci incontriamo. Purtroppo.
Ho scritto della terra in cui sono nato e tornato varie volte: la Sicilia è uno stimolo letterario indiscutibile. Certo la dimensione geografica così vasta non coincide nell'immediato con la tipica sensazione di isolamento e lontananza da tutto di luoghi come le Eolie ( ma credimi Marettimo, le Pelagie sono persino più pregnanti da quel punto di vista). La Sicilia è un continente complesso, ricco e contradditorio ma la cultura millenaria che vi si è sviluppata ha quei caratteri di unicità tipiche di un luogo isolato, a sè. Quando ci entri lo capisci, lo senti a pelle e se hai la cultura necessaria ne resti sedotto; è successo a molti "stranieri" che una volta arrivati non hanno mai più dimenticato quella sorta di magia. Mi piace molto ciò che hai scritto Pino, anni fa misi su carta alcuni concetti molto simili ai tuoi, pensavo di aver fatto un lavoro completo...mi sbagliavo la metafora va ancora analizzata, la sua metafisica è ancora insondabile e in fondo è proprio tale mistero a farci sopravvivere alla mediocrità del quotidiano
Per un siciliano è facilissimo isolarsi e volgere lo sguardo alle infinite fascinazioni che può scorgere verso il mare. Solo una voluta e consapevole idea di Stato comune può mutare questo habitus mentale e spostare il baricentro verso il nord, oltre lo stretto. Fuori dai denti, io ritengo che l’Italia del Nord dovrebbe ritenersi onorata di avere compreso nel suo territorio la Sicilia: solo una visione piccola e mediocre, culturalmente micragnosa, può guidare un atteggiamento tanto sdegnoso e superficiale verso la terra su cui sbarcò Giuseppe Garibaldi.
Le donne non ci appartengono perché dividono un coito con noi, questa è un’idea che dalle mie parti è giunta tardi ostacolata dai profumi d’oriente. Le donne sono l’umanità, il tramite unico per il nostro restare su questo pianeta, il nostro unico futuro biologico; fuori da questo contesto non hanno sesso e restano esseri come tutti, intelligenti o stupidi, interlocutori reali, squisiti archetipi a volte di quanto di più alto e nobile l’umanità possieda e insieme assioma funesto di bassezze e crudeltà senza fine. Le curve sinuose con cui esse disegnano il loro cammino sulle nostre strade sono una provocazione continua alla nostra intelligenza mal costruita, l’occasione, spesso fallita per molti di noi, per superare d’intuito l’aspetto esteriore delle cose e amare veramente l’essenza.
Ho detto addio a molte cose negli ultimi 20 anni: scioccamente sono rimasto in attesa di un nuovo che le sostituisse. Vestito a festa, lustrato da capo a piedi, fidando nel mio intuito e nella buona volontà comune. Sto dando l’addio ad altre cose ancora, il sogno interiore dal quale erano nate lo conservo dentro di me come lo stampo intellettuale che comunque ho vissuto. Ma l’addio rimane, inequivocabile. Sono giorni terribili, passeranno dopo aver schiantato un certo numero di vite; chi resterà potrà dimenticare (è sempre un buon sistema) o imbastire un’illusione più articolata e duratura. Scrivere su un blog ha le sue stagioni come la vita. Vi sono momenti che nascono e crescono in modo estraneo a quello che mostri di te in pubblico: sono vite diverse e parallele, righe che non hai scritto perchè non sapevi, non immaginavi, non riflettevi. Però sono lì davanti a te e ti osservano, forse ridono di te e attendono il tuo ennesimo tracollo.
Il Sud è una condizione dell'animo in toto per me, non più bella ne più brutta di altre se viene letta e analizzata con la giusta misura, se così non è allora diventa un plusvalore da difendere a viso aperto. Un tempo ero unico, scrivendo visitavo il mio palazzo e le sue stanze e non mi disperdevo: non mi chiedevo cosa fossi...mi piaceva trovarmi vivo e curioso d'esistere e tanto bastava. Quella stagione è finita per dare spazio a questa molto più seria e sofferta: ciò che non sono, che mai sono stato, quello che non sono riuscito a scrivere o comunicare, l'uomo segreto senza interlocutori per un preciso deficit suo. L'uomo che non basta e non si basta. La scrittura è solo uno spiraglio ma non riesco ad aprirlo di più.
Inutile dissidio delle ultime
settantadue estati.
Parole esitanti, stonate,
risibili caricature del mio
sosia che malamente recita
il ruolo che fu di altri.
Quando certa sarà stabilita
La mia definitiva
inutilità
vecchiaia e saggezza mi riporteranno
a casa mia.
La porta sarà aperta,
abbraccerò le pareti bianche
mi confonderò con esse.
E infine non ci sarà più nessuno
che mi dirà che troppo grande
è stata la malinconia di vivere.
Adesso che sei passata
e sei tornata
adesso ti insinui mentre ti guardi
in giro.
Tra un po' sarai col dito alzato
e una sintassi controversa a giudicare
analizzare
sfoltire
immobilizzare questi ultimi anni.
E ti ho detto dei recenti silenzi:
mi hai risposto che erano troppo
rumorosi.
E mi hai detto che insopportabile
e' il lento trascorrere
del tempo appresso senza un pugnale
che blocchi il passato alle proprie responsabilita'.
Magnifica e furente eri mentre squassavi il
presente e infierivi sui miei ricordi.
Mi hai amato? Ti ho amato?
Ci siamo rincorsi?
Ci siamo persi?
Eri senza di me nell'altro tempo
quello che tu dici di
bilanci?
E ti ho detto che non di bilanci
di analisi rilette
e affettuose sino alla morte
e' ora il momento.
Questo e' tempo di astrazioni,
di follia immediata
per me e per te
di un unico amplesso
sbagliato
da ricordare come l'amore
che, trovandoci senz'altro riflessivi,
di noi si e' disgustato.
Adesso che sei passata dentro i miei
occhi
e sei tornata per l'ultimo
ritardo
E' quando la luce vacilla
e va via che arrivano gli altri colori.
Tornano a grumi i ricordi
come collane delle altre vite
che io ho finto di dimenticare.
Si riflettono in questa,
danzano sui miei capelli,
mi trascinano, timido, in un ballo
pubblico sotto gli occhi di spettatori
diversamente interessati.
A volte rovescio il capo all'indietro
e mi concedo.
Allora è bellissimo,
i cieli, le strade, le stagioni,
i visi e le parole, mi sfondano
il cuore
senza farmi male.
Allora io sono vero, senza luci di scena
falsi eroismi, concrete paure.
Sono quel che mia madre ama e teme io sia:
un lucido errore che riconosce se stesso.
Aspetto che gli astri terminino
il loro ciclo, domattina non potrò dire di aver sognato
non riesco mai a dividere esattamente
i sogni dalla realtà,
l'oggi da ieri,
i miei occhi stanchi dai miei piedi
di bambino.
E' di sera che il quadro si compone
ed io che sono malato
alzo il viso verso l'eco delle mie ombre
in direzione del mio respiro lontano.
Non ti ho mai incontrato, non ti ho mai guardato lo sguardo, non una carezza; lo stesso tu per me. Abbiamo fatto l’amore in altro modo e pensavo di lasciarti Didone nel tuo anfiteatro di pietra in riva al mare, in linea col canovaccio maschile dello scorso millennio. Non ci sono riuscito: per altre strade il senso e il profumo della vita mi hanno raggiunto sotto forma di versi.
Imparai da bambino a centellinare
la magia che una ragazza
sparge attorno a sé.
Scivolare tra le pieghe di un suo
sguardo,
assaporare poi, nel ricordo
di un’ora dopo, la trasparenza di una
mano,
il particolare timbro di un
silenzio,
gli altri mondi soltanto accennati
in un volgere del
capo.
Ti osservo ancora a quel modo
e tu giochi a far finta di non
saperlo.
Imparai da ragazzo a rincorrere la
diaspora di pensieri che una donna
porta con sé.
Ed è così che non ho mai scordato
il primo stupore
di te.
Un po’ di quella magia ancora
s’insinua tra noi come
una carezza di seta al termine
di questo giorno.
In qualche luogo della Sicilia
orientale al termine di questa
estate.
Avevo un voto bassissimo in matematica a scuola ed uno altissimo in italiano. Ho trascorso tutta la vita ad inseguire i numeri di cui ero perdutamente innamorato.
“Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galilei e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di questi” – E. Fermi
Carmela, ci fu un tempo in cui il nuovo mi accompagnava sempre, spesso mi precedeva e mi faceva la sorpresa dietro l’angolo dei miei passi veloci. Era la letteratura in divenire, l’eros della scoperta e la seduzione dell’universo del dire di noi attraverso un sogno che non potevamo tener tutto racchiuso dentro. Nessuna stagione dura all’infinito se non quella rimasta impigliata tra le pieghe della scrittura e così adesso io ritorno a quel tempo, l’occhio scorre le tue righe e si interroga: la sorpresa è identica, la metamorfosi sospesa si completa. Il sogno si riapre silenzioso. Vorrei che fosse così per tutti ma so bene che è un’utopia. Tu sei una meraviglia ed io ho definitivamente chiuso; ad un compleanno è giusto fare bilanci.
Poi ti sedesti al piano e abbiamo parlato a lungo senza aprir bocca. Eri pieno di luce, il viso rivolto verso l’alto mentre le mani lunghissime e bianche sfioravano la tastiera. Sorridevi e la musica…Dio mio, la musica ci attraversò per sempre, bella come non l’ho mai più udita. Ma una volta può riempire un’intera esistenza. Una volta chiude parentesi che sospirano una fine dignitosa, completa il sogno in un attimo breve. E scompare lasciandoti solo la scia della nostra eternità.
Io non ho più nulla da scrivere se non la mia scostante estraneità a molti pseudoconcetti cresciuti con l’erba della bassa e annaffiati dalle acque di un possibilismo sconsiderato. Non c’è alcuna alternativa miei lontani bloggers, torneremo alle città e alle valli sospettose l’una dell’altra e coltiveremo i dialetti perché non abbiamo saputo possedere la lingua tramandataci dalla nostra storia culturale.
E dirò, finalmente fuori dai denti, che è inutile nascondervi e nascondermi il possente impulso oscuro verso l’estinzione: che splendida e sensuale amante! Rincorsa nei giardini di un’adolescenza solare, posseduta a scatti nella giovinezza inquieta, e amata con tutto me stesso, sì con tutta la forza del mio intelletto, in questo scorcio di inutile maturità.
Battere queste righe è un vizio antico da cui non so liberarmi. Lo farò per te qui perchè l’armonia risponde a se stessa in un silenzio perfetto. La querula dimensione del commento e del rimando ad esso perpetua un rituale che rende risibile anche un’intuizione corretta, soltanto uno spirito elevato può arrischiarsi a tentarlo: nascere è umano, perseverare è diabolico. Pare che io lo sia diventato, ma l’eternità esiste e non è poi così sicuro che essa sia una liberazione o un fatto positivo; spesso appare ai miei occhi come un ripetersi ironico dei medesimi atteggiamenti mentali.
Ho deciso di esplodere qui e adesso, senza educazione e senza altri limiti che non siano quelli del mio trapasso imminente ad altre dinamiche, altri sogni e, forse, altre sintassi. Qui sono io, non mi importa di nient’altro.
Io amo per l’eternità tutto quello che non posso avere e resta lì sospeso in un divenire senza tempo. Soltanto l’amicizia mi dà il senso vero del duraturo, l’amore è un’altra cosa; alla fine ciò che sopravvive è l’egoismo di cui ci nutriamo ogni giorno e che sopravvive scandalosamente sia all’uno che all’altro.
Ci sono “nulla” imponenti in rete e non lo dico dall’alto di un’arroganza o presunzione di merito: i nulla sono talmente evidenti da non necessitare di alcuna spiegazione. Il comodo di un abbraccio apriori per non essersi spostati di una virgola dal target sociale e culturale di riferimento è qualcosa di ipnotico.
Esiste una sensualità nel proporsi per scritto che non ha nulla da invidiare a quella che vive nelle pieghe della carne, una febbre oscura e improvvisa che non viene dalle propaggini di un letto; io non ho intenzione di negarla e, se la incontro, riconoscendola mi abbandono a lei con sconsiderata fede.
Certamente ho scritto molte cose sul confine tra misura e verità: sul blog questo è diventato un problema. Non voglio accusare nessuno se non altri che me stesso ma se il mio spazio di scrittura pubblica non diventa la dimora della mia libertà intellettuale, in mancanza di orpelli quali pubblicità e target di lettori da mantenere a qualunque costo, allora il mio Blog non ha motivo di esistere.
Apro spesso i miei blog e me li riguardo pacato o acceso come certi momenti miei, rileggo, confronto e rifletto. C’è un fondo innegabile di malinconia ma essa è ormai un leit-motiv nella mia vita. Però la decisione presa resta per me ancora valida: del mio mondo e delle miei aspirazioni non c’è quasi più nulla nel paese dove vivo adesso ma questo non mi ha mai spinto ad ipotizzare esili più o meno assurdi, sono già sufficientemente alieno a me stesso.
Io NON amo la cultura occidentale che mi ha generato con i paraocchi e so bene quanti roghi si sono accesi nel vecchio continente dal medioevo in poi: non voglio ritornare a quella stagione dell’umanità, voglio leggere tutto e di tutto, voglio continuare ad ascoltare la musica del vecchio e del nuovo continente, voglio ammirare senza vergogna i maestri del rinascimento italiano, commuovermi davanti ad un Tiziano o un Raffaello o un Caravaggio o davanti ad un cupola del Bernini. Voglio che il frutto dell’intelletto umano che ha prosperato e si è diffuso su questo mondo continui ad illuminarlo e non accetterò mai per convenienza politica o ideologica il mercimonio e la sudditanza nei confronti di altre culture. Io rispetto non per partito preso ma per analisi e riflessione. La convenienza non ha mai fatto per me sui blog e fuori.
Non legge più nessuno! Le righe ammesse dal nuovo galateo sono poche, sui Social ancora meno; devi far finta di dire in un flash rimandando a improbabili approfondimenti la piena comprensione della tua opinione. Stanno scomparendo sintassi, grammatica e punteggiatura, appresso a loro se ne vanno anche la civiltà del dire e pensare, sono i nuovi passeggeri degli elicotteri che faranno la spola tra la tristezza di viverci così e un nuovo ordine nel quale io per fortuna vivrò per poco tempo. L’incomprensione nasce dalla confusione, professore, siamo noi, gli oggetti del potere, a non riuscire a fissare alcun concetto… il potere ha le idee chiarissime.
Non scrivo di politica ma la conosco bene, non scrivo di storia perchè ho la sensazione che in rete la conoscano pochissimi e che non interessi a nessuno, meglio raccontare ad libitum le proprie fornicazioni sessuali, domestiche, lavorative (tranquilli signori miei manca poco e di lavorativo resterà quasi niente con buona pace di Mattarella e Conte e compiacimento di altri di cui non conosciamo nemmeno il nome). Idioti! Siamo una banda di idioti governati da una oligarchia di curiosissimi semidei intenti solo a conservare il loro Olimpo. Noi d'altro canto siamo bravissimi nell'aiutarli; i latini dicevano " divide et impera", così passiamo il tempo a litigare tra noi a sbatterci in faccia le nostre mal coltivate ideologie come merluzzi puzzolenti, lo facciamo tutti me compreso, lo fanno anche i guru di destra di sinistra di lato e di sotto. QUELLI DI SOPRA ci guardano e ridono.
Di cosa dovrei scrivere oggi? Certamente di politica o di libertà di stampa. Di storia, di poesia… quale? Di una storia raccontata da sempre ad uso e consumo di una parte, una poesia che invece di volare sopra si perde nei vicoli di una sintassi scontata? Di quale politica? Quella che ha perso tutti i punti di riferimento e perpetua se stessa nei modi e nei tempi di sempre? Quella che non usa il compromesso lecito ma sfrutta il potere di esserci nel modo più bieco? La libertà di stampa ad uso e consumo di una parte pronta, al momento opportuno, a rinnegare il ciclostile da cui è nata e negare, negare fino alla nausea tutto, parole, fatti, storia…persone? Il contatto continuo con persone cui è possibile solo concedere un falso apprezzamento stando ben attenti a non commettere nemmeno il più piccolo errore di battitura, a non mostrare mai le radici del proprio pensiero e della propria vita. I blog come diari virtuali ingessati dalla prepotenza altrui, la necessità assoluta di restare dentro i binari che altri hanno posato per far correre le nostre parole. Quello che sogno è di poter tornare ad amare il sogno. Sono diventato insopportabile? A volte credo di sì , sento il peso di un trascinamento incomprensibile e lacerante. Ma esiste anche la coscienza di non aver detto abbastanza, non nel modo giusto.
Quando si deve cercare la quadratura del cerchio non si ottiene nè il cerchio nè il quadrato: definire lingua un tweet oppure definire letteratura quella di fb mi sembra realmente una forzatura. Spesso la definizione “lingua” non è adeguata nemmeno a quella molto più seria dei blog. Non mi ritengo maldestro nell’uso di questo mezzo, se voglio posso farne anche quello che voi non immaginate, solo che non voglio perchè così il mezzo non mi rappresenterebbe più. Qui scrive Enzo e il blog deve rassomigliarli, non funziona per me al contrario, nemmeno sintatticamente e linguisticamente. Conosco almeno una decina di persone amici miei che potrebbero gestire un blog in maniera semplicemente perfetta, che scrivono molto meglio di me, che hanno da dire molte più cose di me ai quali l’idea di stare sul web non passa nemmeno per la testa.
Voglio chiudere il cammino qui nella mia isola e davanti al mare: mi pare bellissimo. Prima chiuderò questo blog ma solo quando le parole saranno esaurite, nella speranza che risuonino ancora a lungo nella testa di qualche giovane blogger che nulla sa di me e delle mie sciocchezze (rido a pensarci).
La mia generazione per lungo tempo se l’è dimenticato, ha volto lo sguardo altrove disperatamente: la mia generazione nuotava nell’eroina e aveva una bravura particolare nel farsi male. Le punte di diamante della cultura giovanile e della musica che cambiarono il mondo e il nostro modo di percepirlo, sono state spazzate via dalle droghe e da eccessi d’ogni tipo. Qualcuno dice che le generazioni precedenti sono state decimate da altri sistemi, più stupidi, più pericolosi…e meno divertenti: guerre e ideologie del cazzo. La mia età cresce a dismisura e senza ritegno. Lo fa anche contro quel minimo di decenza che il mio aspetto generale vorrebbe far credere: sto per finire e la conclusione è dietro l’angolo beffarda. Sono io che mi fingo e discuto in modo apparentemente tranquillo del mio trascorrere: dico non ho finito. E' una bugia
Parlare di aristocrazia oggi e soprattutto nel web potrebbe sembrare pericoloso e probabilmente lo è: troppi malintesi, troppi vuoti, così il tessuto sembra pieno di strappi, mancanze. Ma il concetto che volevo esprimere non ha intenzioni contundenti è solo la mia visione di questo mio oggi, di questi giorni che mi allontanano sempre più da questioni e discussioni mal poste, infine resta solo una buona dose di silenzio dentro il quale rivedere o riscoprire le presenze che ho sempre amato.
Non so dove comincia il mare e dove iniziano le donne e l’amore, non so nemmeno se esistono confini così netti. Uno dei ricordi più forti di quella stagione della mia vita era il senso di unitarietà. Una meraviglia! La vita, il sesso, il mare, certe sere a parlar di niente sotto le stelle… le stelle, un oceano di stelle come le puoi vedere solo in luoghi poco abitati e con pochissima luce artificiale. Io ero lì dentro, non chiudo mai la porta all’universo spero sempre di potervi rientrare ogni volta che scappo da questa dimensione di vita.
So di essere un privato che si spoglia in pubblico, so che la nudità intellettuale è la più ambita e la più difficile da sostenere. Ma non fa niente: io scrivo lo stesso. All’inizio non la cerchi, non la vuoi e te la senti lo stesso sulle spalle: sta lì, sale e scende, ogni tanto ci discuti anche. Quando il modo cambia non te ne accorgi quasi mai perchè è un gesto subdolo e lento, possono trascorrere anni e tu ci sei dentro, parli con te stesso e credi di farlo con altri ma giri in tondo. E ti abitui a considerare il rumore di fondo della vita che ti scorre accanto come un’articolata discussione; invece è solitudine e si è impossessata di te. Gli spazi che cerco hanno un timbro inconfondibile: mi attraversano e ricompongono le mie fibre ad un nuovo avvenire. Sono i latifondi dell’anima.
Il cielo è grigio stasera, forse pioverà, forse l’acqua si porterà via tutta la terra accumulata dalle nostre impotenze. E’ stasera che Enzo si prende la testa fra le mani e vorrebbe riprendere a fumare. Stasera che i giochi si sono invertiti e la solitudine si vende a prezzi di realizzo. Lascio il gatto sul divano e il cuore spazzato via dagli anni sbagliati, buona musica sapete, un evergreen di quelli che tutti abbiamo amato. Suonerà ancora a lungo: certe volte la verità è un sorriso quieto che ci ostiniamo a cercare lontano ed invece è lì accanto a noi, è il primo bacio che abbiamo dato quello che non si scorda mai e non ti tradisce come invece ti prendono in giro le parole e i discorsi intelligenti fatti solo per altri fini.
Sta accadendo di nuovo, lo sento con assoluta certezza: quindi devo scriverne, ora, subito, prima che il senso diventato carnale svanisca e ritorni a viaggiare su sentieri nascosti e non esprimibili a parole. Ho scelto un certo numero di blogger da seguire: evidentemente ciò che avete scritto è andato al di là di alcuni vostri propositi. Ha smosso le leve giuste e mi ha portato su un’altra collina, davanti ad un’altra prospettiva di me stesso. Vorrei molto da chi mi legge, moltissimo: lo ammetto io vorrei più di quello che merita ciò che scrivo, vorrei che la comunicazione fosse tale e quindi perfetta. Tu me la daresti adesso mentre posi gli occhi su questi segni neri; io credo che sia così e mi allontano per un altro intervallo da quell’altra signora che invia ogni tanto un conto spese esistenziali.
Io all’inizio non mi sono posto tanti problemi: uscire dal cammino solitario che mi è stato sempre caro e raccontare anche agli altri lo spirito che mi muoveva, questo fu all’inizio l’impulso vero e profondo. Credo che si capisse facilmente che mi muoveva una componente di liberatorio narcisismo unita ad una più che concreta coscienza(?!) certezza(?!), speranza(?!) d’aver qualcosa da dire. Scrivere è dipanare, dirsi, capirsi, toccare l’essenza e gioire di una verità luminosa e istantanea. Lo penso ancora, il vero problema è trasmettere la luce, non svilirla, non addomesticarla tanto da cambiarne il vero profumo e per ottenere tutto questo bisogna avere il coraggio di restare soli. Sono i commenti, il loro spirito, le altre vite e i loro inevitabili compromessi, sono gli altri bloggers la vita e la morte assieme di ciò che scriviamo.
In certe mattine silenziose e assenti come questa, quando apro la mia pagina mi sento pulito; non devo dire a nessuno da dove vengo e dove mi dirigo. Quello che ho scritto mi sta davanti ed io lo guardo con grande serenità. Svaniscono le discussioni, le incomprensioni, gli asti, resto io solo e pulito, senza alcuna altra specificazione. Enzo, così com'è.
Poi, all’improvviso, questo stillicidio cromatico e temporale divenne un urlo viola. Il disco solare emise un respiro tagliente di luce rossa e il tempo si fermò. Tutto immobile, il cielo, la terra su cui posavo i piedi, il sole pronto ad essere inghiottito dal mare, le pietre dei templi e l’aria con il suo sottile aroma di rosmarino. Io ero lì, come il bambino di vent’anni prima e l’uomo di adesso. I miei ricordi d’infanzia legati ai pensieri da vecchio che rigiravo nella testa. Ogni cosa al suo posto, sospesa, perfetta nel suo significato più intimo, senza alcuna necessità di collocazione temporale. Probabilmente era questa l’eternità, quella parte di metafisico che ognuno di noi possiede e che spesso chiamiamo anima; il desiderio struggente che divora la nostra vita come un’amante irraggiungibile.
A sud verso Ortigia, Trent’anni dopo - C’è sempre un cammino privato anche in un atto pubblico come quello di pubblicare uno scritto in rete. Io ero là, su quella banchina quella sera quell’anno, il desiderio di completezza, di riunirsi alla propria intimità era una musica che suonava dentro, io la percepivo bene ma dirlo fuori era improponibile…anche adesso mi appare difficile. Il pensiero di quella sera se ne andò verso sud: credeva di trovare il suo ultimo approdo là dove aveva sognato una vita diversa per l’ultima volta. Trovò solo altro mare e un piccolo gruppo di amici a salutarlo per il suo prossimo viaggio. Aleggia da quelle parti, mi aspetta lì, sa che arriverò e ce ne andremo assieme, io lui e i nostri sogni, così come siamo nati.
Si apre il sipario: c’è un gran cannistru di rosi e di ciuri, la notti s’apri e lu jornu si chiuri. Una alla volta spuntano tutte le stelle e il faro si accende e, se ti metti a cavallo della luce passi il mare e arrivi in Africa. Io che campo all’acqua e al vento ci credo che un jornu giudica all’avutri e l’ultimo giudica a tutti, perché semo tutti ‘nsunnati, campiamo con la testa nell’aria e se casca il cielo non ce ne accorgiamo. Ma forse questo vogliono quelli che comandano, che dormiamo un sogno che duri tutta la vita; si scantanu che sennò…altri Vespri e altre rivoluzioni. E’ destino campari come auceddi e morriri comu passarieddi, senza che nessuno si ni adduna.
Mi calmo lentamente e già è quasi sera: Angelina ha ragione non mi accorgo del tempo quando sono laggiù sottacqua. Stasera le dirò che l’amo e ci sarà una luna che poi scomparirà per lasciare spazio a un oceano di stelle; il profumo del timo e del ginepro si fonderà con la sua pelle di donna e sarà bella e misteriosa come il mare scuro che ci circonda ovunque. Non faremo all’amore perché sarò troppo emozionato ma lei se ne accorgerà da un piccolo tremore mentre la bacio; mi spingerà il viso verso l’alto e mi chiederà… e io glielo dirò che ho incontrato il mare e finalmente lei tutta presa mi dirà: racconta.
Guardando fuori da qui verso il golfo aperto della mia città la cosa che mi viene più facile da pensare è un’estate infinita, stile vecchi tempi. Dilatata e sensuale ma lenta, lentissima, piena di me e della mia vita, dei miei segni e dei miei stupidi assiomi. E’ esattamente ciò che voglio, l’unica cosa che comprendo. Non è amore, è l’orgasmo che viene dopo e che nessuno vuole gestire perchè è meno romantico.
Basta infilarsi in un bar di Bergamo, Varese, Cuneo, Treviso…. prendersi un caffè e porgere orecchio: ci sono 2, 3 forse 4 Italie ed una è l’unica che conta e ne ha piene le balle delle altre! Questo è un fatto. Inequivocabile. Con un’ideologia precisa costruita ad hoc, propugnata in Parlamento e, soprattutto, nelle strade e nelle piazze sopra un certo parallelo; non è una questione politica in senso stretto, è un umore diffuso e, pare, incoercibile. Di questo si DEVE tener conto altrimenti ci arrampichiamo sui vetri che è poi quello che abbiamo fatto per 150 anni.
La mia città che digerisce tutto e non si può comprare a nessun prezzo, la mia maledetta lezione di storia, di principi e comparse, di gloria e fine di tutto. La mia città che fra poco sarà di nuovo sotto quel blu cobalto delle sere d’estate che non hanno nulla di umano. Palermo punteggiata da campanili, guglie moresche e ville liberty. Palermo di Elvira Sellerio e di Totò Cuffaro, Palermo fuori dall’Europa e dalla Padania. Palermo che ricorda i ventiquattro dalla morte di Giovanni Falcone e l’Italia, lo Stato Italiano che incredibilmente sopravvive ad una strage che nessun paese civile avrebbe sopportato. "Senza vedere la Sicilia, non ci si può fare un’idea dell’Italia. E’ in Sicilia che si trova la chiave di tutto” ( W. GOETHE). Un paradosso uno dei tanti, un ‘idea di nazione che passa dagli antipodi di Milano e Torino oppure la fine di quel sogno- menzogna unitario che scavalcò lo stretto per tornare da dove era venuto. Non so perchè ma non mi riesce mai di parlare di Palermo: sono un siciliano del secolo scorso e come tutti i siciliani, sono al tempo stesso dentro e fuori gli eventi, sempre in preda ad astratti furori e amori infiniti, inquilino della Storia, pronto ad esserne sfrattato. U’ sapiti com’è no?
Credeva di averne di più. A dir la verità non lo aveva mai considerato: il suo tempo nel tempo che viveva giorno dopo giorno. Pur avendolo riempito di un'infinità di cose inutili e lunghe, anche sacrificandolo ad una quantità di altri tempi diversi per fogge e prospettive, pensava di averne davanti ancora una misura praticamente infinita. Aprendo la porta dell'ascensore e premendo il tasto del piano quest'idea sottile cominciò a crescere dentro di lui: il tempo, il suo tempo a scadenza.
Quando tutto finì ci vollero molti mesi di silenzio colmo e severo: l'idea antica sempre tenuta a bada, mai lasciata libera di riprodursi, cominciò a fare capolino. Non ottenne il risultato che avrebbe cambiato la sua vita trent'anni prima: la senescenza intellettuale ha decorso e prognosi diverse da quella corporale. Il tempo si era preso tutto il comodo per fare e disfare: il panorama finale era beffardamente identico a quello iniziale.
Non mi consolo, non ne ho voglia, anzi non ho voglie, non quelle comunemente definite come tali. Ho sogni, sogni bellissimi e vasti come il mare, talmente perfetti da lasciarti sbigottito. In fondo vivo di sorprese: stare sul web è una di queste, constatarne i limiti un’altra, rendersi conto che la volgarità è da ogni parte intorno a noi, e che ogni giorno, inevitabilmente, soffochiamo nell’imbecillità diventa infine l’inevitabile conclusione. Io faccio parte di questa comune sconfitta, che la dichiari in buon italiano e serenamente non ne cambia i connotati, mi rende solo più ridicolo.
Queste pagine sono il mio specchio, riflettono un uomo che non si piace più a sufficienza ma non può rinnegare se stesso. Il blog è una parte di me che non riesco più a far crescere come vorrei e che non mi aiuta più nell’interloquire con quelli di voi che stimo di più. Il blog vi dice alcune cose, importanti non lo nego, ma non le dice tutte. Sono un vecchio borghese meridionale aristocratico e demodè quanto basta per restare così: sospeso.
Il maschio virile non riesce a convivere con l’uomo pensante: due binari perfettamente lucidi e paralleli che mi indicano una direzione ambigua. Potrei percorrerli in ambedue le direzioni: una mi direbbe che ho perso alcune importanti occasioni e non ho visto quadri palesi, l’altra mi racconterebbe la favola di un possibile e lontanissimo futuro. E’ come se il seme rifiutasse di riconoscere la sua pianta.
Ci infrangiamo sulle parole, sui loro spigoli lasciamo i resti di innumerevoli naufragi. Navighiamo attorno ad un concetto antico, vorrei dire obsoleto, ma bene o male viene sempre fuori una parola, quella parola che tenta di raffigurare la tempesta e la passione, l’istinto del silenzio dopo una danza vorticosa, il senso di un’infinita rincorsa: romantico, romanticismo. Sono romantico? Siete romantici? Cosa siamo quando ci denudiamo e, in segreto, malediciamo il pudore di abbracciare il nostro cuore con la mente? Una nota può raggiungere il cielo anche se lo strumento sta nel fango e un essere umano ha il diritto di crederci almeno una volta nella vita. Scrivo con la percezione che non tutto vien fatto per nobili ideali ma non tutto nasce imbrattato dalla parte peggiore di noi… A volte torniamo ad essere bellissimi.
Non esistono vere novità oltre il limite temporale dell’adolescenza, soltanto versioni rivedute e corrette di affermazioni sbilenche che non riescono più a trovare un senso e lo cercano convulsamente… sino allo sfinimento. Il sud e i suoi magici cieli erano già dentro di me, lo erano dalla mia infanzia, ho continuato in fondo la ricerca che mi competeva e l’ho fatto in un’isola. Il mare ha cullato i miei sogni di ragazzo, li ha fatti crescere e mi ha insegnato a guardarli con feroce tenerezza. L’uomo che scrive stasera a margine di un ennesimo nuovo anno non è così diverso dal bambino che uscì secoli fa da una scuola milanese, ha soltanto meno illusioni.
Mia madre conservava i temi che facevo: li metteva in una cartelletta verde che nascondeva gelosamente. Le chiesi un giorno perchè lo facesse e mi rispose: “ Perchè ciò che si scrive è una persona, è il suo spirito”, poi mi baciò e tanto mi bastò. Per lungo tempo. Fu Tiziana dai capelli rossi a spiegarmi la differenza… e la sua spiegazione mi parve molto diversa da quella di mia madre e mi piacque di più. Oggi so che erano la medesima cosa…
La solitudine resta com’è, scritta o cantata non perde l’abito che le è proprio. Lei sta lì entra e esce da questo spazio o da altri: mi possiede. Certe volte penso che era già accanto a me quella sera di febbraio quando mi sedetti in sala e le luci del grande teatro pian piano di abbassarono per lasciare spazio all’orchestra.
Siamo stati una generazione sui generis: in bilico su uno spartiacque affilato, quello che aveva impiegato secoli per mutare in tutti i campi adesso arrivava con una progressione stupefacente. Non eravamo preparati, in tutti i sensi, l’unico mezzo per sopravvivere era assumere l’atteggiamento spocchioso e arrogante che tanto ci rendeva lontani da chi ci aveva preceduto. Era solo una recita: costruita ad arte e pasciuta nel tempo da una auto referenzialità grandissima. Avemmo tutto, distruggemmo tutto con sublime superficialità. Tirammo su le gonne alle ragazze, avemmo il permesso di scoprire con grande facilità il loro nido segreto e loro ci ricambiarono con la monarchia assoluta della gestione del loro corpo e della loro vita, non ci conveniva ma prendere o lasciare. Prendemmo. Spazzammo via senza esitazione secoli di etica, società, convenienze sociali e religiose, un revisionismo profondo e crudele, cinico e in fondo falso, avemmo tutto e da questa situazione traemmo la convinzione sciagurata di avere diritto a tutto. Non ci è restato niente!
Di ogni dono o capacità imparai allora a considerare anche le controindicazioni: comunicare bene, meglio di altri e essere condannato a una solitudine quasi perfetta. Mi domando se anche i miei amici, e compagni di allora, dopo, nel divenire della loro vita, siano mai stati soli su una cattedra a guardare gli altri sguazzare felici nella loro normalità. E’ questo il motivo che sempre più spesso dissangua la mia volontà di esserci: cosa faccio, cosa chiarisco, cosa cambio o miglioro? Scrivo, sì scrivo, scrivo e basta: sono ciò che scrivo, solo quello. Non ho altre pretese, fini secondari, libri da pubblicare, donne da conquistare. In fondo sono ancora nell’aula della seconda B, seduto alla cattedra che sbircio gli altri mentre io ho già finito.
L’ignoranza
vera o presunta aiuta a vivere e a morire
con sublime leggerezza.
Non altro.
Esiste di fatto il dramma della comunicazione accoppiato a quella specie di questua che facciamo commentandoci fra noi.
Ti scrivo- scrivimi- se non mi scrivi non ti scrivo-
E se ti leggessi a lungo? Se leggessi le tue righe e ritenessi che sono perfette così come le hai scritte e per tale motivo bastasse solo un - Ho letto! Arriverai qui solo per un mio timido ma serissimo invito o per un caso fortuito, il resto è tutto da definire.
Con la solitudine interiore ci si nasce e l'abbiamo tutti ma non tutti la riconoscono o la ammettono come tale; dipende dall'indole propria e dalle vicessitudini nostre. Vi sono esseri poi che avvertono il silenzio della vita "altra" anche nel frastuono falso della quotidianità e questo è spesso letale se si è diventati troppo fragili. E' il mio caso: solitudine dentro e fuori...anche con chi dovrebbe starmi vicino e non ci riesce. Perchè non capisce o non vuole? Le distanze culturali in senso stretto e lato sono micidiali, la comunicazione fallace, l'amore che è intima gioia e condivisione appare sempre più lontano e improbabile. Tutti abbiamo timori anche chi sembra un guerriero senza macchia ne paura ed io non so se queste righe possono aiutarvi nelle scelte. Ieri sono stato male da morire ma per altri motivi, oggi mi lecco le ferite. Temo lascino altre cicatrici.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
La moderazione è stata eliminata , ciò significa che lascio passare qualsiasi cosa anche se non corrisponde al mio pensiero.