Qui o altrove trascino sempre la mia insoddisfazione: non amo la rabbia ma faccio rabbia. Talvolta mi stanco ma non mi sono mai arreso, nemmeno alla sorpresa di ciò che provoco. Ho attraversato molti mari, reali o presunti: bagni indimenticabili e traversate tempestose; non l’ho deciso io, ho solo fatto da testimone ad epiloghi straordinari, cocci di esplosioni più o meno previste, qualche residuo è rimasto a galleggiare qua e là. Se ci penso vorrei un giorno o l’altro passare a raccoglierli tutti e dare loro il riposo o la vita che meritano. A furia di scoparmi l’esistenza mi sono innamorato di lei, innamorato sì, senza speranze e senza illusioni. Scrivere mi fa rabbia, pensare pure, amare è inutile, curvarsi sulle linee di una donna essenziale, farsi alitare sulla bocca il suo cervello esaltante…mi sono dovuto legare alla barca per non farmi uccidere dalle sirene anche se, in fondo, potrebbe essere la morte migliore. Questo non è un libro chiuso, la pagina che stai leggendo è aperta, non si chiude mai nulla se resta l’eco dei tuoi orgasmi: c’è solo un tempo diverso e, talvolta, una spinta leggera come una carezza a farti scrivere di nuovo.
Ho dato vita ad un’esigenza silenziosa.
Non
riesco a dargli un nome
ha
già un suono
e
mille appigli scomodi
ma
non ha un nome.
Chi
ha pensato di arrivarci attraverso
il
rumore di strilli inguinali
o
il caos di abbracci posticci
mi
cerca ancora.
Ma
non riesco a dargli un nome.
Il
luogo rarefatto in me
silenzioso
per consuetudine e acceso
per
indomito bisogno
si
è fatto strada.
Così,
qui, ora.
Grida
a labbra chiuse
anche
se io non ascoltassi come un ragazzo
che
ha ancora tutto da sbagliare
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