Da molti anni a cicli, penso di aver compiuto una lunga traversata: i miei pensieri spettinati e costretti poi ad un educandato severo. Un supplizio! Scrivere è una liberazione, la mia: mi inchioda su un pensiero, mi addensa , finalmente, per un lungo e interminabile attimo è lui il mio padrone assoluto ed io il suo amante totale! Scrivere diventa la mia vita perenne, il senso definitivo che mi assolve dal peccato di fornicare coi giudizi altrui. E’ una mistificazione, ovviamente, un gioco degli specchi; nessuna traversata riesce ad allontanarmi dalla sensazione di colorati deja vù, il web è stracolmo di essi… così dopo aver scritto penso sempre che a queste righe non ne potranno seguire altre, che queste righe siano totali e intoccabili, sintesi perfetta della fine e del nuovo inizio: una clessidra e noi polvere là dentro. Questo mi uccide, questo è appunto l’ombra del silenzio per il quale non c’è descrizione possibile. Qui o altrove le sillabe separate le une dalle altre in una scansione crudele gridano il loro bisogno disperato di tornare alla loro unità originaria: perfetta e unica. Senza sbavature, senza una dimensione temporale definita, le parole e le cose si raggrumano nella realtà, nell' indecifrabile perfezione dell'imperfetto, io lo guardo, lo respiro e lo scrivo. Non è un gesto triste o funereo è un divenire silenzioso che mi sgrava da un compito morale che non amo: in qualche altro posto sarà mattino o notte e qualcuno come me sta già scrivendo un’altra poesia. Altri tratti, altri amori... e a me pare consolante.
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