Penso sia legittimo criticare Netanyahu per molte delle sue scelte politiche, anche dure e controverse. Tuttavia, una parte consistente del dibattito pubblico sembra muoversi non su basi razionali o pragmatiche, ma sulla base di pregiudizi ideologici o, peggio, antisemiti.
In certi ambienti, come nel caso di Donatella Di Cesare, la critica appare più come un riflesso ideologico – dentro la logica della polarizzazione morale (la destra sempre colpevole, la sinistra sempre virtuosa) – che come un'analisi effettiva delle condizioni geopolitiche.
È tempo di smettere di demonizzare Netanyahu con rappresentazioni caricaturali e retoriche violente, come quella dell’“assetato di sangue”, che rievocano, anche inconsapevolmente, stereotipi antisemiti secolari. La retorica della "pace" viene spesso agitata come un totem morale, senza tener conto delle reali condizioni che la rendono possibile. Parlare di pace senza valutare il contesto rischia di diventare una forma di autoassoluzione ideologica, più che un contributo concreto alla risoluzione del conflitto.
La pace non è un’astrazione, ma un processo politico concreto che può avvenire solo quando le condizioni minime di sicurezza, riconoscimento reciproco e volontà politica sono presenti. E in questo senso, l’Iran rappresenta una minaccia strutturale per Israele: uno Stato che non solo nega la legittimità dell’esistenza dello Stato ebraico, definendolo "entità sionista", ma che, con almeno due articoli della sua Costituzione, si propone esplicitamente di combatterlo come realtà coloniale da eliminare.
Netanyahu, piaccia o meno, non sta "scegliendo la guerra" con l’Iran; sta rispondendo a una dichiarazione di ostilità permanente. Come affermava Golda Meir, "non si può fare la pace con chi è venuto a ucciderti".
La pace è possibile solo tra soggetti che si riconoscono reciprocamente e si pongono in una posizione di parità: altrimenti non è pace, ma sottomissione.
Per favore smettiamola di agitare la condanna a Netanyahu come simbolo di antisemitismo. Questa è una stronzata immensa che può riguardare una percentuale davvero irrisoria di chi lo riconosce novello genocida. E' semplicemente un animale che rappresentando un popolo che ha subito quello che ha subito, dovrebbe vergognarsi mille volte di più a concepirne e riproporne nefasti effetti.
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